Tralicci 0167
Transizione

COP30, l’Amazzonia e l’energia che cambia

Per due settimane Belèm è stata il centro di gravità dei dibattiti sulla transizione energetica, dove anche le reti e le fonti rinnovabili sono state al centro dei tavoli di discussione. Ma il risultato della conferenza lascia ancora incertezze per un futuro veramente sostenibile e senza fonti fossili.

Se la COP30, la Conferenza mondiale sul clima, arriva per la prima volta nel cuore dell’Amazzonia, il messaggio diventa più forte del protocollo: per quest’anno, infatti, i negoziati sul futuro del pianeta si sono tenuti a Belém, capitale dello Stato brasiliano del Pará, dove la natura è ancora una frontiera viva. Le acque del Rio delle Amazzoni scorrono a pochi chilometri dalla “Cidade das Mangueiras”, mentre delegazioni da quasi duecento Paesi si sono ritrovate tra foreste, comunità indigene, nuovi progetti di economia sostenibile e, soprattutto, discussioni sull’energia del futuro. Dal 10 al 21 novembre 2025, Belém è diventata il centro di gravità della transizione energetica, una scelta non casuale da parte del Brasile del presidente Lula, che rivendica per sé il ruolo di “presidenza dell’Amazzonia” in un mondo dove l’energia – come sempre – è economia, geopolitica e clima insieme.

L’energia al centro: cosa ha raccontato la COP30. Nei padiglioni della COP, la parola “energia” compare ovunque: nei panel sulla transizione, nei side events guidati dalla International Energy Agency (IEA), nei summit dedicati alle rinnovabili e all’elettrificazione. Le grandi istituzioni multilaterali hanno confermato che la sfida della neutralità climatica del pianeta passa inevitabilmente da un sistema elettrico più robusto, più interconnesso e alimentato da fonti pulite. Eppure, la COP30 si chiude anche con una consapevolezza amara: nel documento finale non compare un impegno vincolante per l’abbandono progressivo dei combustibili fossili. Un compromesso, la Mutirão (dal termine portoghese che si riferisce a un’azione collettiva per un obiettivo comune), che rivela tutta la difficoltà dei negoziati internazionali nel coniugare ambizioni climatiche e pressioni geopolitiche. Ma proprio questa debolezza, paradossalmente, rende più forte il messaggio arrivato dai panel dedicati all’energia: senza infrastrutture elettriche moderne, senza reti capaci di integrare grandi quantità di rinnovabili, la transizione rischia di restare un proposito teorico.

54914132730 fcfc93d79f o
Vista aerea dall’isola di Combu con la città di Belem sullo sfondo (foto Alex Ferro/COP30).

Dialoghi ad alta tensione: reti, rinnovabili e sicurezza energetica. Gli “Energy Transition Dialogues”, promossi nei mesi precedenti all’evento dalla IEA insieme alla presidenza brasiliana della COP, hanno lavorato per tenere insieme tre esigenze che nel mondo reale spesso entrano in conflitto: decarbonizzare rapidamente; garantire sicurezza e stabilità dei sistemi elettrici; rendere accessibile l’energia ai cittadini e alle imprese.

La vera sfida della transizione energetica globale, emersa con chiarezza a Belém, non è solo costruire nuovi impianti rinnovabili, ma collegarli, farli dialogare. L’Amazzonia stessa ne è un simbolo: un territorio vastissimo dove l’energia rinnovabile, dall’idroelettrico all’eolico off-shore che avanza lungo la costa, resta spesso distante dai grandi centri urbani.

Dai dibattiti della COP30 emerge un dato condiviso: ogni strategia climatica è, innanzitutto, una strategia di rete. Senza linee ad alta tensione, interconnessioni internazionali, sistemi di accumulo integrati e digitalizzazione delle infrastrutture, gli obiettivi climatici rimangono sulla carta. È una verità semplice, ma che la COP30 rende finalmente evidente. Negli interventi dei ministri dell’energia, nei report tecnici, nei panel con utility di diversi Paesi, si ripete lo stesso concetto: la rete elettrica è l’elemento abilitante di tutto il resto. Le rinnovabili crescono, ma senza grandi dorsali di trasmissione non arrivano ai consumatori. I consumi elettrici aumentano per effetto dell’elettrificazione dei trasporti e dell’industria, ma senza capacità di rete la domanda non può essere soddisfatta. L’intelligenza artificiale spinge verso data center energivori, ma richiede stabilità e resilienza. La COP30 non indica un percorso facile, ma chiarisce la direzione: investire nelle reti è investire nel clima.

Tra speranze e ambiguità: energie pulite e fossili alla prova del compromesso. Nei giorni della COP30, l’energia è tornata al centro del dibattito globale. Un fatto simbolico è stato il lancio del piano Belem 4X Pledge attraverso il quale un gruppo crescente di Paesi si è impegnato a quadruplicare l’uso di combustibili “sostenibili” entro il 2035, integrando rinnovabili, biocombustibili e future tecnologie pulite, con monitoraggio affidato alla IEA.

Questo sforzo prefigurava un salto: non solo evitare nuove infrastrutture fossili, ma orientare gli investimenti verso un mix energetico davvero decarbonizzato. In parallelo, molti interventi, dal mondo politico, imprenditoriale e accademico, hanno descritto la rete elettrica come il vero nervo della transizione: non basta produrre energia verde, bisogna che quella energia arrivi dovunque, in modo sicuro e stabile. Il compromesso finale, descritto dai media internazionali come fragile, punta su finanziamenti climatici rafforzati, su un meccanismo di “giusta transizione” e sul sostegno all’adattamento e alla resilienza, ma non definisce un percorso obbligato per l’abbandono delle fonti fossili. Così la COP30 termina con un bilancio complesso: da un lato l’energia rinnovabile e la transizione sono tornate nell’agenda globale; dall’altro viene meno una direttiva forte e vincolante che imponga il phase-out fossile.

54940170873 12cef1b2fa 5k
Riunione plenaria di chiusura della 30^ Conferenza delle Parti (foto Rafa Neddermeyer/COP30).

L’energia rinnovabile è quindi solo una parte del puzzle, forse la più visibile, ma non la più decisiva. Ciò che davvero farà la differenza è la capacità di creare infrastrutture in grado di assorbire, trasportare e adattarsi a un sistema energetico in trasformazione. Rinnovabili intermittenti, picchi di domanda, elettrificazione industriale e mobilità, digitalizzazione dei consumi: tutto questo richiede linee robuste, interconnessioni, sistemi di bilanciamento e stabilità, flessibilità. In un momento in cui molti governi esitano a investire su un abbandono netto dei combustibili fossili, la rete diventa la chiave di volta di ogni strategia energetica credibile. Non più “dove produco energia”, bensì “come la faccio arrivare, come la gestisco, come la distribuisco in sicurezza”. A Belém, in numerosi panel e dibattiti, questo concetto è emerso con forza. L’energia, più che una voce del trattato sul clima, è stata trattata come infrastruttura critica per il futuro del Pianeta.