20250610 206
In prima linea

Twin transition: la doppia T che nasce dal talento. Parla Fabrizio Pilo

Il direttore del Master in "Digitalizzazione del Sistema Elettrico per la Transizione Energetica" a Cagliari, nell'ambito del Tyrrhenian Lab di Terna, spiega come il futuro energetico del Paese passi per decarbonizzazione, digitalizzazione e nuove competenze.

La “twin transition”, transizione energetica e digitale, non è solo una sfida tecnologica, ma un profondo cambiamento sociale e culturale che richiede investimenti mirati, nuove competenze e una comunicazione efficace. L’intervista al Professore dell’Università degli Studi di Cagliari Fabrizio Pilo – direttore del Master in Digitalizzazione del Sistema Elettrico per la Transizione Energetica del Tyrrhenian Lab a Cagliari, realizzato in collaborazione con Terna – offre una visione dettagliata delle principali tematiche e delle soluzioni, ponendo l’accento sulla necessità di un approccio integrato che tenga conto di tecnologia, economia e impatto sociale.

Professore, lei ha una vasta esperienza nel campo dell’ingegneria elettrica e una profonda conoscenza delle dinamiche energetiche della Sardegna. Quali sono le sfide tecnologiche che l’isola dovrà affrontare nel prossimo futuro?

«La Sardegna è un caso emblematico, perché porta al centro della discussione le contraddizioni e le potenzialità del sistema energetico nazionale. È una delle regioni italiane più esposte agli effetti della transizione, ma anche tra quelle con maggiori risorse naturali per affrontarla. Attualmente, l’isola produce circa il 75% dell’energia elettrica da fonti fossili e carbone. Il peso ambientale di questo sistema è significativo, tanto più se si considera l’impatto aggiuntivo dei trasporti navali e aerei – essenziali per un’isola – e della più grande raffineria del Mediterraneo presente sul suo territorio.

Sostituire progressivamente le centrali a carbone senza compromettere la sicurezza del sistema energetico regionale non è solo un problema tecnico. È una sfida di equilibrio tra esigenze ambientali, affidabilità della rete e sostenibilità economica. Eppure, la Sardegna ha tutti gli strumenti per vincerla: risorse rinnovabili abbondanti – sole, vento, spazio – e un tessuto territoriale sufficientemente ampio da permettere uno sviluppo ordinato e compatibile di nuova capacità elettrica. Gli studi disponibili sono netti: un sistema energetico completamente rinnovabile, basato su oltre 7 GW di potenza installata e sull’elettrificazione dei consumi, è possibile con un uso di suolo inferiore all’1% del territorio regionale. Un modello che unisce decarbonizzazione, indipendenza energetica, vantaggi economici e sviluppo.

Ma la vera difficoltà non sta nei numeri o nei vincoli tecnici. Il vero nodo è sociale. L’opposizione crescente a nuovi impianti rinnovabili, spesso guidata dalla percezione di un’imposizione esterna, indica un vuoto di comunicazione e fiducia. È qui che la transizione si gioca davvero: nella capacità di costruire consenso informato, nel promuovere strumenti di coinvolgimento diretto come le Comunità Energetiche Rinnovabili, nell’immaginare un nuovo ruolo per i cittadini all’interno del sistema energetico. In questo senso, la Sardegna è sì un laboratorio, ma anche un banco di prova: dimostrare che una transizione giusta è possibile significa riuscire a connettere infrastrutture e diritti, produzione e accettabilità, efficienza e partecipazione».

20250610 183
Il Professore dell’Università degli Studi di Cagliari, Fabrizio Pilo, direttore del Master realizzato in collaborazione con Terna (foto Terna)

Quali strategie e investimenti sono necessari, secondo lei, per abilitare il potenziale del Sud Italia nella valorizzazione delle competenze locali, in particolare nel contesto della transizione energetica e digitale?

«La transizione energetica nel Sud Italia pone una sfida duplice. Da un lato, quella infrastrutturale: adeguare le reti per renderle capaci di integrare un’elevata quota di produzione da fonti rinnovabili non programmabili, sfruttando al massimo la vocazione territoriale delle regioni meridionali. Dall’altro, quella della valorizzazione del capitale umano, oggi sottoutilizzato nonostante un potenziale formativo e professionale rilevante.

La condizione geografica e climatica del Sud rappresenta un vantaggio strategico. Vento, sole, disponibilità di suolo e, in alcune aree, una bassa densità abitativa, offrono le condizioni ideali per l’espansione delle fonti rinnovabili. Ma queste risorse hanno bisogno di essere collegate, gestite, ottimizzate. Gli investimenti nelle interconnessioni elettriche – e in particolare quelle in corrente continua – non sono una scelta tecnica opzionale, ma un passaggio indispensabile per garantire la flessibilità necessaria a un sistema sempre più distribuito e ricco di fonti non programmabili.

Accanto all’ampliamento fisico delle reti, diventa sempre più urgente sviluppare capacità avanzate di gestione e controllo del sistema. Le reti moderne non si limitano a trasportare energia: sono ambienti digitali complessi che devono integrare milioni di dati in tempo reale, monitorare le condizioni operative, prevedere le dinamiche di carico e generazione, essere resilienti e affidabili. I soggetti connessi – generatori, sistemi di accumulo, carichi flessibili – devono essere in dialogo continuo con la rete e tra loro, in un ecosistema tecnico che richiede competenze nuove.

È in questo contesto che il capitale umano diventa l’elemento più critico. Non bastano più profili iperspecialistici chiusi nei propri silos disciplinari: servono figure capaci di comprendere l’intero sistema, di operare tra settori diversi, di combinare conoscenze ingegneristiche, digitali, matematiche ed economiche. La digitalizzazione ha un effetto moltiplicatore: con risorse limitate, è possibile generare impatti elevati, a condizione di avere le persone giuste al posto giusto.

Il Sud Italia, da questo punto di vista, è una risorsa ancora largamente da attivare. Le università del Mezzogiorno formano ogni anno migliaia di giovani con solide competenze scientifiche, spesso costretti a cercare opportunità altrove. Ma oggi, con l’aumento della centralità strategica delle fonti rinnovabili nei territori del Sud, il quadro si sta spostando. Non si tratta solo di trattenere talenti, ma di costruire un’offerta formativa e professionale all’altezza delle nuove sfide, in grado di fare leva sulla trasformazione tecnologica per generare sviluppo duraturo, locale e qualificato».

Terna nave posacavi Tyrrhenian Link Termini Imerese Sicilia
La nave posacavi "Leonardo da Vinci" impegnata in attività di posa dei cavi sottomarini per il Tyrrhenian Link, una delle infrastrutture elettriche di Terna più rilevanti per il Paese, che unirà Campania, Sicilia e Sardegna (foto Terna)
Per un approfondimento sull'opera di Terna che collegherà la Sicilia con la Sardegna e la penisola italiana attraverso un doppio cavo sottomarino

Il progetto del Tyrrhenian Lab ha tra gli obiettivi anche la formazione di figure professionali altamente specializzate. Il Master è giunto alla sua quarta edizione, in che modo si è evoluta nel corso di questi anni la sinergia tra mondo accademico e Terna per lo sviluppo delle competenze dei masterizzandi, in linea con la trasformazione del sistema elettrico?

«La risposta all’esigenza di formazione integrata ha preso corpo nel Tyrrhenian Lab, un’iniziativa promossa da Terna in sinergia con le università di Cagliari, Palermo e Salerno. Al centro del progetto, il Master in Digitalizzazione del Sistema Elettrico per la Transizione Energetica rappresenta un esperimento avanzato di alleanza tra mondo accademico e industria.
Il punto di partenza è la constatazione di un problema strutturale: in Italia mancano figure professionali con competenze tecniche e digitali adatte a guidare la transizione del sistema elettrico. Per troppo tempo il settore energetico è stato percepito come poco attrattivo da parte dei giovani, spesso più orientati verso settori ritenuti più dinamici o innovativi. In realtà, oggi il sistema elettrico è uno dei principali campi di applicazione dell’innovazione tecnologica, dalla sensoristica avanzata all’intelligenza artificiale, dalla cybersecurity ai sistemi di controllo predittivo.

Il Master non si propone di formare ingegneri elettrici nel senso tradizionale, né di convertire specialisti di altre discipline a un’unica matrice. L’obiettivo è creare una nuova figura professionale, multidisciplinare, capace di comprendere la complessità del sistema elettrico e di operare in un contesto dove il confine tra dati, energia e decisioni operative è sempre più sottile. Il percorso accoglie profili diversi: matematici, fisici, data scientist, ingegneri informatici, meccanici, elettronici. A tutti viene offerta una visione d’insieme del funzionamento del sistema e una preparazione specifica sugli strumenti necessari a gestirlo nel nuovo contesto digitale.

Una delle caratteristiche più rilevanti del Master è l’integrazione concreta tra formazione accademica e mondo industriale. Circa il 40% delle lezioni è tenuto da professionisti del settore, tecnici ed esperti provenienti dalle aziende e dagli enti di sistema. Questa scelta garantisce non solo un aggiornamento costante dei contenuti, ma anche un collegamento diretto con le esigenze operative reali. La formazione diventa così non solo un luogo di apprendimento teorico, ma anche un ponte verso il lavoro, la progettazione, la responsabilità».

«Il Tyrrhenian Lab rappresenta un modello replicabile, un esempio di come l’interazione tra impresa, università e territori possa produrre valore pubblico, sviluppo di competenze e impatto diretto sulla trasformazione del sistema Paese».

FABRIZIO PILO Direttore del Master in “Digitalizzazione del Sistema Elettrico per la Transizione Energetica” del Tyrrhenian Lab a Cagliari

Quali sono, a suo avviso, le tecnologie necessarie per la digitalizzazione del sistema elettrico e in che modo queste sono essenziali per garantire la stabilità e l’efficienza della rete di trasmissione?

«La digitalizzazione del sistema elettrico è molto più di una modernizzazione delle infrastrutture esistenti. È una trasformazione strutturale che cambia il modo in cui l’energia viene prodotta, trasmessa, distribuita, consumata e governata. In un sistema sempre più decentralizzato, in cui le fonti rinnovabili sono distribuite sul territorio, intermittenti per natura e spesso integrate da una molteplicità di soggetti, non è più possibile affidarsi a logiche operative basate sulla rigidità o sulla centralizzazione.

Per gestire questo scenario serve una rete elettrica intelligente, interconnessa, flessibile e predittiva. Il primo pilastro di questa evoluzione è la costruzione di una rete di comunicazione capillare, affidabile e a bassa latenza, capace di trasmettere in tempo reale le informazioni necessarie al funzionamento del sistema. Le reti di trasmissione ad alta tensione sono già largamente digitalizzate, ma è sulla rete di distribuzione – quella più vicina ai cittadini, alle imprese e ai nuovi prosumer – che si concentra oggi il maggior fabbisogno di investimento.

A questa si affianca la sensoristica avanzata, distribuita sul territorio e integrata nei componenti della rete. Sensori di nuova generazione e dispositivi IoT consentono di rilevare in tempo reale lo stato fisico degli impianti, la temperatura dei conduttori, le condizioni ambientali, il carico locale, le micro-variazioni di frequenza e tensione. Ma raccogliere dati non basta. Il vero salto qualitativo si compie nel momento in cui quei dati diventano informazione utile, traducibile in decisioni operative. Serve quindi una piattaforma software avanzata, in grado di analizzare volumi crescenti di dati in tempo reale, di riconoscere pattern, di anticipare le anomalie, di ottimizzare i flussi.

La transizione verso le rinnovabili introduce anche un’altra necessità strutturale: garantire stabilità in un sistema che, per sua natura, perde gran parte dell’inerzia fornita storicamente dalle centrali termoelettriche. Per colmare questo vuoto servono investimenti in sistemi di accumulo su scala diversa – da quelli centralizzati a quelli diffusi – e l’introduzione di dispositivi capaci di fornire inerzia sintetica, cioè di replicare in modo digitale il comportamento fisico della rete in condizioni dinamiche.

Un ulteriore fronte è quello della cybersecurity. Una rete più aperta e interconnessa è inevitabilmente più esposta. L’isolamento, un tempo considerato misura di sicurezza, oggi non è più sostenibile né operativo. Occorre quindi costruire un’architettura digitale resiliente, capace di prevenire e gestire gli attacchi informatici, proteggendo non solo i dati ma anche le funzioni critiche del sistema.

La digitalizzazione, in sintesi, non è un’azione singola né un aggiornamento tecnico. È un ecosistema di tecnologie – comunicazione, sensoristica, software di analisi, sistemi di accumulo, sicurezza informatica – che devono funzionare insieme, in modo integrato e coordinato, per rendere il sistema elettrico capace di affrontare le sfide della transizione climatica, dell’elettrificazione, della crescita della domanda e della sicurezza operativa».