Qualche mese fa i Paesi che fanno parte dell'Autorità internazionale per i fondali marini (ISA), con sede a Kingston, la capitale della Giamaica, si sono riuniti per discutere del futuro dei fondali marini e del loro sfruttamento. L'ISA è uno dei tre organismi istituiti nel 1982 dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del mare, che gestisce le risorse dei grandi fondali marini. Ne fanno parte 167 Paesi, più l'Unione europea, mentre gli Stati Uniti non hanno aderito. Se in passato gli incontri annuali dell’organizzazione sono passati pressoché inosservati, quest'anno la posta in gioco era altissima perché riguardava anche e soprattutto l'ambiente.
I governi mondiali autorizzeranno lo sfruttamento minerario dei fondali marini?
Gli oltre 160 paesi membri dell'Autorità internazionale per i fondali marini (ISA) stanno discutendo se procedere o meno con lo sfruttamento delle risorse minerali che si trovano sotto le acque oceaniche. Un dilemma anche e soprattutto ambientale.
La riunione, che si è tenuta dal 10 al 28 luglio scorsi, era incentrata sull'elaborazione di un regolamento relativo allo sfruttamento delle risorse minerali dei grandi fondali marini. Gli schieramenti erano e sono sostanzialmente ancora due: da un lato ci sono Paesi che ritengono questi minerali indispensabili per favorire lo sviluppo tecnologico, e che estrarli dal mare inquinerebbe meno rispetto a farlo sulla terraferma. Dall'altro c’è chi sostiene che non conosciamo ancora abbastanza l’ecosistema dei fondali marini più profondi, perciò bisognerebbe evitarne lo sfruttamento prima di essere certi che non verrà danneggiato in maniera irreparabile, con possibili ricadute sull’intero ciclo naturale.
Le conoscenze sugli ecosistemi di fondali marini più profondi sono ancora poche e di conseguenza è difficile prevedere come e quanto saranno influenzati da un'escavazione di tipo intensivo. «L'estrazione mineraria nei fondali profondi non può continuare senza la necessaria – e ad oggi insufficiente – conoscenza scientifica per regolarla. Le conseguenze sarebbero catastrofiche per la vita umana e marina», ha commentato la responsabile Mare del WWF Italia, Giulia Prato. Secondo la comunità scientifica, a oggi avremmo poco più dell'uno percento della conoscenza scientifica necessaria per redigere regolamenti sul cosiddetto "deep sea mining", e i rischi ambientali ed economici dell'estrazione mineraria nei fondali sarebbero ancora lontani dall'essere del tutto compresi.
La Commissione europea e il Parlamento europeo, insieme a sette Stati membri dell'Ue (Spagna, Francia, Germania, Svezia, Irlanda, Finlandia e Portogallo), hanno spinto per appellarsi a una moratoria internazionale sull'estrazione in acque profonde sino a quando non saranno colmate le lacune scientifiche. La stessa Unione europea ha investito oltre 80 milioni di euro in progetti di ricerca relativi all'estrazione in acque profonde che, tra le altre cose, hanno messo in evidenza proprio una carenza di conoscenze approfondite in questo ambito.
La Francia, in particolare, nonostante detenga il secondo spazio marittimo più grande al mondo, si è detta favorevole a una moratoria prolungata rispetto a nuove attività che metterebbero in pericolo l'ecosistema marino. Anche i grandi marchi dell’industria tech e non solo, tra cui Google, Samsung, Bmw e Volvo, hanno dichiarato che per le loro produzioni non acquisteranno minerali provenienti dai fondali oceanici, in assenza di una solida regolamentazione e delle necessarie garanzie ambientali. Alcuni stati europei, però, si stanno distaccando dalla posizione dell'Unione Europea: il Belgio, ad esempio, è al lavoro su una legislazione per definire a quali condizioni, in futuro, il governo potrebbe sponsorizzare lo sfruttamento dei fondali marini da parte di un'azienda privata. Tra i Paesi che invece sono del tutto favorevoli a queste operazioni troviamo, tra gli altri, la Cina, la Corea del Sud e la Norvegia.
La Norvegia, in particolare, potrebbe diventare il primo Paese al mondo a estrarre metalli dal fondo dell'oceano: in autunno, infatti, sarà votata dal Parlamento norvegese la decisione di destinare 280mila km quadrati di fondali marini – un'area grande quasi quanto l'Italia – all'estrazione mineraria. Mentre la Norvegia sostiene che l'estrazione sarà sostenibile e responsabile, gli ambientalisti ritengono che, se sarà appoggiata dal parlamento, questa sarà una delle peggiori decisioni ambientali mai prese dal Paese.
Nel 1982, dopo decenni di discussioni, i fondali marini erano stati definiti dagli Stati del mondo "patrimonio comune" dell’umanità, ma non erano state fissate regole precise. Oggi di fatto quello che i vari Paesi, con le loro posizioni diverse, si stanno domandando è se questo stesso patrimonio comune potrà essere sfruttato (sebbene con modalità da definire) per la ricerca mineraria o se, invece va protetto, soprattutto in un momento in cui la crisi climatica è sempre più grave.
Nel vertice di luglio dell'Autorità internazionale per i fondali marini non si è arrivati a una conclusione: i negoziati proseguiranno nelle prossime riunioni dell'istituzione.