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Transizione

In nome del clima #10: nell’Artico abbiamo raggiunto il punto di non ritorno?

Sfatiamo mensilmente alcuni credo su ambiente, cambiamento climatico e transizione ecologica. N°10: lo dicono i dati, nel Mar Glaciale Artico c’è sempre meno ghiaccio, le conseguenze sono planetarie.

«La sparizione della banchisa estiva nell’Artico è una delle prime mine di un campo minato, uno dei punti di non ritorno a cui stiamo arrivando facendo aumentare troppo le temperature. (…) È legittimo chiedersi se forse non abbiamo già messo il piede su questa mina e innescato l’esplosione». Con queste parole il fisico e climatologo Markus Rex ha descritto il possibile meccanismo irreversibile dello scioglimento dei ghiacci dell’Artico durante i mesi estivi, dovuto al cambiamento climatico causato dalle emissioni di gas serra delle attività umane.

Il loro completo scioglimento potrebbe avere serie conseguenze soprattutto sul clima delle aree che si affacciano sull’Artico, come la Groenlandia. Ma non solo: l’incremento della temperatura media nella regione porta con sé effetti collaterali come l’aumento dei livelli dei mari e la modifica delle correnti oceaniche, influenzando così la vita di interi ecosistemi in cui vivono milioni di specie.

Tali cambiamenti, inoltre, sarebbero una delle cause degli eventi atmosferici sempre più estremi che si manifestano ogni anno. Rex ha affrontato tutto questo durante la presentazione delle prime conclusioni sulla più grande spedizione scientifica tra i ghiacci attorno al Polo Nord, di cui era peraltro a capo, portata avanti tra il 2019 e il 2020.


Con un budget di 140 milioni di euro, il progetto ha coinvolto 300 scienziati provenienti da oltre 15 Paesi diversi, e in 389 giorni di attività ha permesso di raccogliere 150 terabyte di dati sull’atmosfera e sugli ecosistemi dell’Artico, oceano che ricopre la parte più settentrionale della Terra e che rappresenta una delle aree più esposte al riscaldamento globale – si sta infatti scaldando a circa il doppio della velocità rispetto a buona parte del resto del Pianeta.

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Un iceberg visto da Tiniteqilaaq, in Groenlandia (Jean-Christophe André/Pexels.com)

I primi risultati dell’analisi dei dati raccolti in questa zona mostrano che, durante i mesi estivi, l’estensione delle piattaforme di ghiaccio – la cosiddetta banchisa – si è ridotta più velocemente che in passato, dimezzandosi nell’arco di un decennio. Rispetto agli anni Novanta dell’Ottocento invece, quando sono state misurate per la prima volta le temperature dell’Artico, è stato registrato un aumento di circa 10°C.

I ghiacci e la neve sono meno presenti nella regione, che è sempre più caratterizzata dalla presenza di piogge e da ampi tratti di mare aperto dove un tempo si concentravano enormi quantità di ghiaccio. La loro più grande riduzione fu registrata nel 2007 e da allora non si è più tornati ai livelli precedenti; non stupisce, dunque, che nel 2019 è stata registrata la seconda temperatura più alta mai rilevata nell’ultimo secolo nell’Artico.

Le condizioni complessive dell’Artico sono ritenute preoccupanti anche alla luce dell’andamento generale del riscaldamento globale, e degli scarsi risultati ottenuti finora per contrastarlo in aree di per sé meno vulnerabili, nonostante le promesse di numerose realtà – istituzionali e non – negli ultimi anni.


Rick Thoman, tra gli autori di un rapporto sullo stato dell’Artico, a cura dell’agenzia governativa statunitense che si occupa di clima (NOAA), è particolarmente allarmato: «[Il report, ndr] descrive una regione artica che continua a diventare più calda, meno ghiacciata e modificata dal punto di vista biologico in modi che erano difficilmente immaginabili solo una generazione fa. Praticamente tutto nell’Artico, dal ghiaccio alla neve alle attività umane, sta cambiando a una tale velocità che non ci sono motivi per pensare che tra trent’anni ci possa essere ancora qualcosa paragonabile a oggi».