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Insight

Batterie e rinnovabili “flessibili”. Così decollerà il capacity market

Il meccanismo delle nuove aste si è evoluto con più flessibilità verso gli impianti alimentati da energie rinnovabili, che grazie ai sistemi di accumulo possono trovare una piena ragione d’essere.

Largo al sistema degli accumuli a batteria, il nuovo indispensabile “polmone” del nostro sistema elettrico. Promettono un vero salto di qualità (e di quantità) le aste del capacity market 2024 che partiranno il 21 febbraio 2022. Il rodaggio del sistema è ormai concluso e il nuovo mosaico della produzione e dei consumi di elettricità potrà guardare con più serenità all’ambizioso e non facile obiettivo con cui è nato, nel 2019, il nuovo strumento di mercato: completa chiusura delle centrali a carbone entro il 2025 mantenendo condizioni di adeguatezza del sistema elettrico, promuovendo gli investimenti necessari per la sostituzione di questa capacità e al mantenimento di un cuscinetto di capacità di generazione programmabile in grado di combinarsi con la continua crescita delle energie rinnovabili.

Per risolvere i due problemi strutturali del nuovo equilibrio energetico italiano: la poca programmabilità della produzione di energia verde e la parallela riduzione del cosiddetto margine di riserva, ovvero il rapporto tra la richiesta elettrica e la potenza globale di generazione realmente disponibile nel nostro paese, che con le continue razionalizzazioni degli anni passati è ridotta praticamente a zero.

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Alcune tecnologie di accumulo presso lo "storage lab" di Terna a Codrongianos, in provincia di Sassari (foto Terna)

Cosa cambia. Capacity market, ovvero la remunerazione della disponibilità di capacità elettrica, per consentirne l’esistenza anche quando la profittabilità non è garantita. Nelle scorse aste, quelle che hanno prodotto il “polmone” di sicurezza che diventerà operativo nel prossimo biennio, sono state contrattualizzate più centrali tradizionali, purché garantissero il massimo livello di sostenibilità ambientale secondo i parametri di riferimento internazionali. I sistemi di accumulo elettrochimico, la nuova frontiera da affiancare ai vecchi e ancora provvidenziali accumuli idroelettrici, hanno fatto il loro debutto. Molto incoraggiante, per la verità. Non tanto per le quantità realizzate ma per i primi segnali di interesse degli investitori, in particolare se consideriamo che ai 210 megawatt contrattualizzati in esito al 2023, si sono aggiunti altri 250 MW attraverso aste specifiche, aggiudicati a un prezzo medio inferiore ai 30mila euro a MW.

Segno che i progressi della tecnologia, in termini di efficienza e quindi di redditività, stanno facendo davvero passi da gigante. Tanto da legittimare un certo ottimismo per il futuro. Un segnale emblematico viene dall’automotive, i cui fondamentali di prezzo sono assimilabili a quelli degli accumuli per i sistemi elettrici: per i pacchi di batterie il costo è previsto scendere dai 200 euro a kilowattora del 2020 agli 85 euro del 2030, con una parallela discesa di circa il 40% per le singole celle, tenendo oltretutto conto degli obblighi sempre più stringenti di incorporare nei costi previsti anche gli obblighi di smaltimento o riciclo a fine vita.

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Il Centro Nazionale di Controllo Terna alla sede di Roma Marcigliana (foto Terna)

Tecnologie e infrastrutture. «Lo storage è ormai un prodotto maturo, da business», azzardano molti analisti. Anche perché le batterie applicate agli accumuli già traguardano un ulteriore salto di qualità nel loro impiego, proprio nella logica del vero e proprio polmone: presto potranno fornire - assicurano gli scienziati che ne curano lo sviluppo - preziosi servizi di riserva e non solo di bilanciamento. La loro diffusione potrebbe essere davvero esponenziale.

Ottime premesse per il grande strumento parallelo che dovrebbe essere attivato nei prossimi anni sulla base dell’aggiornamento delle stime del fabbisogno prospettico degli accumuli nazionali (le vecchie stime indicavano fabbisogno di 6 gigawatt, circa il 10% della potenza elettrica nazionale richiesta nelle ore di maggiore criticità), che dovrebbe essere individuato entro i prossimi sei mesi, per essere seguito dallo svolgimento di aste specifiche, ulteriori a quelle previste dal Capacity. Nel frattempo il meccanismo delle nuove aste del mercato della capacità per il 2024 si è evoluto, consentendo una maggiore flessibilità nel soddisfacimento degli obblighi per gli impianti alimentati da energie rinnovabili, che proprio grazie ai sistemi a batteria possono trovare una piena ragion d’essere.

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La "war room" del Capacity market durante le aste del 2019: in fondo in piedi a destra il responsabile Affari Regolatori di Terna Fabio Bulgarelli (foto Terna)

Si accelera in Sardegna. Chi sarà fra i primi protagonisti? Sarà una delle nostre grandi isole: la Sardegna. Praticamente priva di gas, da tempo piena di carbone e di olio combustibile (anch’esso da dismettere completamente), baciata dal sole ma anche dal vento. Rimangono da chiudere gli impianti a carbone di Fiumesanto, Sulcis, Saras, per circa 1600-1700 MW complessivi. L’obiettivo è quello di permetterne la chiusura, definitivamente, proprio grazie alle iniziative che saranno selezionate nella prossima asta per il capacity market, e all’entrata in esercizio di un’infrastruttura decisiva non solo per l’isola ma anche per la capacità complessiva di interconnessione del nostro paese: la linea elettrica di scambio Tyrrhenian Link (TL) tra l’isola e il continente. Un buon viatico per completare l’operazione di dismissione del carbone in tutto il nostro Paese dopo la prima fase che ha portato allo stop delle centrali di Genova, Bastardo (Perugia), La Spezia e uno dei quattro gruppi di Brindisi.

Sardegna in rete, nel vero senso del termine, con il TL che consentirà uno scambio biunivoco, specie se davvero la Sardegna farà da avanguardia proprio nel sistema degli accumuli a batterie, vista la possibilità di assicurarsi con le prossime aste, solo nella grande isola, circa 800 MW di accumuli elettrochimici. Da cenerentola energetica a faro della nuova energia? Perché no.