Mai come ora il nostro pianeta ci offre allo stesso tempo un vibrato segnale d’allarme e l’opportunità di nuova stagione di progresso, di conoscenza, di alleanze, di sviluppo e quindi di affari. La transizione energetica non è solo un obbligo dettato da un pianeta messo alle strette dall’effetto clima e dall’ormai palese insostenibilità di un modello di sviluppo ancora affidato in maniera preponderante alle fonti fossili. Il paradigma della transizione ci sfida. Detta obblighi, regole, limiti. Esige lo sviluppo delle rinnovabili in armonia con la corsa all’efficienza energetica, ci propone una sfida tecnologica che impone comunque un periodo non breve di convivenza tra la “vecchia” e la “nuova” energia, che devono operare in sinergia per passarsi con progressione ma con sufficiente rapidità il testimone.
I principali stakeholder del mondo energetico in Italia a confronto, insieme ai rappresentanti di istituzioni e imprese nazionali e internazionali.
In tutto questo c’è, appunto, un nuovo modello di business. Che non significa, come in molti con poca attenzione pronosticavano, una ridefinizione del modello economico all’insegna di un necessario impoverimento dei consumi, con il conseguente pericolo di assecondare le spinte recessive. Può accadere, e accade, esattamente il contrario. L’ecosistema della nuova sfida energetica apre le porte alla ricerca, alla scienza, e con esse all’industria del nuovo. Funziona? Sì. Anche, e in qualche caso soprattutto, nel nostro paese, che paga si lo scotto in molti indicatori internazionali di prosperità ma sta giocando un ruolo non disprezzabile proprio nella sfida non solo delle tecnologie ma anche delle normative di sostegno alla transizione energetica.
Cosa facciamo e soprattutto cosa possiamo fare di più non solo per contribuire all’affrancamento del pianeta dalla condanna ambientale, ma anche per trasformare la sfida in un’occasione di nuovo sviluppo? Come mettere a punto gli strumenti già in atto e introdurne di nuovi? Molte risposte arriveranno dagli “Stati Generali della transizione energetica italiana” che, su iniziativa di Cassa Depositi e Prestiti, Snam e Terna, chiamano a raccolta il 16 e il 17 ottobre a Roma personaggi di primo piano nei mondi trasversali che caratterizzano la sfida: l’impresa, la finanza, la scienza, la politica. Sul palco ci sono Alessandro Tonetti e Luca D'Agnese, rispettivamente vice direttore generale e direttore Infrastrutture, PA e Territorio di CDP; Marco Alverà, AD di Snam insieme al presidente Luca Dal Fabbro; Luigi Ferraris, AD e Direttore generale di Terna con la presidente Catia Bastioli. Tutti affiancati dall’apparato strategico dei loro gruppi.
Per il governo c'è il presidente del Consiglio Giuseppe Conte con la viceministra dell'Economia e delle Finanze Laura Castelli e la sottosegretaria allo Sviluppo economico Alessandra Todde. Le commissioni parlamentari hanno la loro qualificata rappresentanza, così come il mondo dei regolatori e delle grandi istituzioni scientifiche ed energetiche italiane, a cominciare dal presidente dell’Arera Stefano Besseghini e dal presidente dell’Enea Federico Testa. Non mancano analisti ed esperti di caratura internazionale.
Davvero molto si gioca sulla nuova rete di alleanze tra mondi e tecnologie diverse ma attigue. La chiave del successo si chiama cooperazione e sinergia. L’industria e la ricerca, il pubblico e il privato. Molto può nascere, all’insegna di alcuni fattori chiave. Nella sfida della transizione ecco il ruolo principe delle grandi infrastrutture elettriche: sono chiamate a fare da supporto al difficile amalgama tra la generazione diffusa, alla soluzione dei problemi di discontinuità delle energie rinnovabili, alle crescenti esigenze di un’elettrificazione che sta giustamente investendo anche la nostra mobilità personale. Le reti diventano intelligenti, abbracciano i più avanzati processi di digitalizzazione e dell’intelligenza artificiale come riflette l'ultimo piano strategico di Terna, il transmission system operator (TSO) nazionale.
E prendiamo il ruolo del gas: nella strategia di Snam emerge una crescente attenzione per l’idrogeno, una delle nuove frontiere energetiche, tra i vettori privilegiati per usare al meglio l’energia prodotta dalle rinnovabili. Snam ne promuove la creazione dalle fonti verdi, lo mescola fisicamente con il gas che porta a tutti noi, con una sperimentazione che promette di diventare una prassi strutturale.
Pillole (non poche) di progresso, di cui nostro paese può andare fiero. E si inseriscono in un contesto nazionale e internazionale a cui il convegno di questi giorni riserverà una dettagliata radiografia, proprio per mettere a punto al meglio le strategie.
L’accelerazione delle grandi dinamiche mondiali è il primo fattore di cui bisogna tenere conto: lo spostamento dell’asse energetico dalle grandi economie realizzate dell’America dell’Europa al sudest asiatico, l’espansione dei paesi in via di sviluppo che proietta nei grandi mercati quel miliardo di persone che ancora oggi non hanno accesso all’elettricità, la crescente necessità di risorse dettata dalla crescita demografica. La transizione energetica non deve solo decongestionare la pressione sull’ambiente ma deve comunque dare di più, e meglio, a tutti. Tenendo conto che la sfida è davvero imponente se pensiamo che nonostante il costante miglioramento negli ultimi anni dell’intensità carbonica del Pil a livello globale, con una contrazione superiore del al 35% dal 1990 oggi, le emissioni di CO2 non hanno arrestato la crescita segnando nel 2018 il record di quasi 33 miliardi di tonnellate, a causa del continuo aumento del consumo di combustibili fossili nonostante il significativo aumento del ricorso alle rinnovabili.
Gli analisti disegnano scenari predittivi, utilizzando le consuete tecniche degli esperti della materia. Lo scenario BAU, business as usual, ovvero cosa succederà se nulla facciamo per correggere cose: il disastro. Poi uno scenario intermedio, che sposta l’onere del vero salvataggio sulla futura generazione. E poi quello che inverte la spirale e magari trasforma davvero la sfida in una nuova stagione di sviluppo dell’economia e della società a livello globale. Al convegno questi temi, già contenuti nel documento biennale di Descrizione degli Scenari di Terna e Snam, saranno approfonditi in un panel tecnico.
Il punto di riferimento operativo rimane l’accordo di Parigi del 2015 che benché sia stata ratificato da 185 paesi vede la sostanziale latitanza, come ben sappiamo, di molti colossi che rischiano vanificare la portata dell’impegno “ultimativo” di contenere l’aumento medio delle temperature ben al di sotto di 2 gradi rispetto ai livelli preindustriali. Un obiettivo necessario ma con tutta probabilità non risolutivo, visto che la comunità scientifica internazionale assegna una probabilità di successo non superiore al 66% nel compito di rendere reversibile l’innalzamento della concentrazione di gas serra nell’atmosfera. Chiamare tutte le parti in causa a una nuova alleanza anche all’insegna del business dello sviluppo appare dunque come l’unica strategia realmente degna di un pronostico.
Coerente e lungimirante il pacchetto “Energia pulita per tutti gli europei” (Clean Energy Package) messo a punto dalla Ue con un sistema di norme che sembra rispondere in modo organico a tutti e cinque i requisiti alla base della sfida: sicurezza energetica, sviluppo del mercato interno, maggiore efficienza nell’uso dell’energia, decarbonizzazione, impulso alla ricerca, promozione dell’innovazione e della competitività. Lungo tre obiettivi da traguardare entro il 2030: la riduzione di almeno il 40% delle emissioni di gas serra rispetto al 1990, ricorso alle rinnovabili per almeno il 32% dei consumi finali di energia, e non ultimo il miglioramento dell’efficienza energetica che consenta, senza deprimere le capacità di soddisfare il fabbisogno, di ridurre almeno del 32,5% i consumi di energia primaria rispetto allo scenario tendenziale. Obiettivi praticabili? Sì, ci dicono gli esperti.