Sul piano delle emissioni e della salvaguardia dell’ambiente, come gestore della rete di trasmissione energetica italiana, Terna ha una responsabilità importante nei confronti dei cittadini e del loro futuro.
Attualmente le fonti fossili sono ancora responsabili di oltre l’80% dei consumi globali di energia: è fondamentale un cambio di rotta per ridurre la dipendenza da questo tipo di energia e limitare l'aumento di temperatura a cui è sottoposto il pianeta.
La transizione che stiamo vivendo cambierà radicalmente la fisionomia del sistema elettrico. Con i suoi progetti e gli investimenti in infrastrutture di rete, Terna sta gettando le basi per favorire e sostenere la trasformazione in atto con un sistema adeguato, sicuro ed efficiente che integri sempre più fonti rinnovabili.
Per un operatore primario di trasmissione e dispacciamento questo si traduce in investimenti su competenze, tecnologia e innovazione per gestire al meglio le attività di sviluppo e manutenzione della rete (Transmission Operator), e per garantire la pianificazione e la gestione in sicurezza e qualità, del servizio elettrico (System Operator).
Grazie alle competenze uniche delle sue persone e al confronto costante con i territori, Terna contribuisce così alla crescita e allo sviluppo di progetti sostenibili per il paese.
La comunità scientifica è compatta nel giudicare il cambiamento climatico come un fenomeno strettamente collegato all’attività umana. La temperatura media del pianeta è infatti aumentata di circa 1° centigrado dalla fine del diciannovesimo secolo, principalmente a causa delle emissioni nell’atmosfera di diossido di carbonio e altre sostanze climalteranti.
L’aumento di temperatura più consistente è però avvenuto negli ultimi cinquant'anni, con un trend attuale di circa 0,2° per decennio.
La principale causa del riscaldamento globale è stata individuata dalla comunità scientifica nell’effetto serra, che di fatto avviene perché alcuni tipi di gas — come il diossido di carbonio (CO₂), l’ossido di diazoto (N₂O) e il metano (CH₄) - impediscono al calore di lasciare l’atmosfera. A questi vanno aggiunti i cosiddetti “clorofluorocarburi” (CFC), sostanze sintetiche di origine industriale utilizzate per varie lavorazioni, responsabili dell’ormai celebre “buco nell’ozono”.
Nell’ultimo secolo, inoltre, l’uso di combustibili fossili come il carbone e il petrolio ha drasticamente aumentato la concentrazione di CO₂ nell’atmosfera.
Le conseguenze di questo fenomeno sono già palpabili: tra il 1993 e il 2016 la Groenlandia, ad esempio, ha perso circa 281 miliardi di tonnellate di ghiaccio all’anno, mentre l’Antartide circa 119 miliardi.
Il livello degli oceani si è poi innalzato, aumentando nel giro di un secolo di circa 20 centimetri. Lo stesso per la loro acidità, incrementata di 30 punti percentuali dall’inizio della rivoluzione industriale, con gravi conseguenze sulla flora e la fauna marittima.
Oltre a tutto ciò il cambiamento climatico sta causando importanti cambiamenti nelle precipitazioni, con significativi aumenti in determinate aree della terra e pericolose diminuzioni in altre. La siccità e le ondate di calore cresceranno, sia in termini di intensità che di frequenza — cosa che colpirà soprattutto il settore dell’agricoltura.
Alla luce del surriscaldamento del pianeta e dei rischi nell’immediato futuro, per evitare che le temperature salgano eccessivamente — oltre i 2° fissati dalla Conferenza di Parigi — l’economia globale dovrebbe impegnarsi a tagliare la sua intensità di carbonio¹ del 6,4% ogni anno fino al 2100.
Questo sforzo richiederebbe un miglioramento scientificamente impossibile nelle emissioni (e quindi nel rendimento) degli attuali impianti a combustibili fossili. Sarebbe come se una macchina del 2050 invece di consumare un litro di benzina ogni 20 chilometri ne consumasse uno ogni 200. Dovremmo insomma chiedere a una qualsiasi tecnologia che brucia combustibili fossili di migliorare la sua efficienza energetica di dieci volte, violando inesorabilmente le leggi della termodinamica. Come ovviare a questo problema?
L’unica soluzione percorribile è quella di una transizione energetica radicale, che permetta di raggiungere l’ambizioso obiettivo di combattere il cambiamento climatico: solo dismettendo le attuali fonti di energia non rinnovabili e altamente inquinanti possiamo pensare di stabilizzare la già preoccupante concentrazione di CO₂ nell’aria.
La transizione energetica è il passaggio dallo stato corrente di fonti di produzione energetica, basate principalmente sull’uso di fonti non rinnovabili come petrolio, gas e carbone, a un più efficiente e meno inquinante mix di energie rinnovabili.
Significative transizioni energetiche sono già avvenute nel corso della storia: si pensi al passaggio dal consumo di legno a quello del carbone durante la rivoluzione industriale, o all’introduzione dell’energia nucleare. Tuttavia oggi, a causa della sempre maggiore richiesta di energia, le fonti rinnovabili non sono state in grado di sostituire i “vecchi” sistemi di produzione energetica, ma li hanno semplicemente affiancati.
Tra il 1990 e il 2015 a livello mondiale la percentuale relativa all’uso delle energie rinnovabili è rimasta sostanzialmente invariata, passando solamente dal 13% al 14%. Il motivo sta nel fatto che una serie di paesi, entrando solo recentemente nella fase industriale, hanno drasticamente aumentato la richiesta di energia, soddisfatta in larga parte dalle fonti inquinanti tradizionali, già ampiamente disponibili e più economiche rispetto a quelle rinnovabili.
Se fino a qualche decina di anni fa era difficile immaginare una soluzione a questo problema, per mancanza di tecnologie adeguate in grado di sostituire le fonti non rinnovabili, oggi è possibile produrre energia da fonti rinnovabili a costi sempre più competitivi e trasportarla nei punti in cui viene consumata, grazie alle reti di trasporto e distribuzione.
Per affrontare il problema delle emissioni sono state lanciate numerose iniziative dagli organismi internazionali, perché solo l’azione concertata tra diversi paesi può portare a risultati concreti a livello globale sul fronte del cambiamento climatico. Nel caso italiano sono tre le principali fonti da tenere in considerazione.
1 La conferenza di Parigi sul clima (COP21) ha visto 195 paesi adottare congiuntamente il primo accordo universale e giuridicamente vincolante sul clima mondiale. Gli obiettivi dei governi che hanno partecipato alla conferenza sono molteplici, ma possono essere riassunti in tre obiettivi principali:
2 L’Unione Europea ha preso impegni di lungo periodo nella riduzione delle emissioni di CO₂ di almeno il 40% entro il 2030. Nell’ambito dell’approvazione del Clean Energy Package (“Energia pulita per tutti gli europei”), presentato nel 2018 dalla Commissione Europea, l’obiettivo principale rimane l’efficienza energetica, affiancato dalla leadership nelle rinnovabili garantendo la sicurezza dell’approvvigionamento elettrico.
Di più lungo respiro è la strategia denominata “2050 – A Clean Planet for All”, presentata dalla Commissione Europea nel novembre 2018. La strategia mostra come l’Europa possa guidare il processo di riduzione delle emissioni attraverso una serie di politiche e iniziative che coinvolgano politiche industriali, ricerca universitaria e cittadinanza attiva.
3 Il Piano Nazionale integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) rappresenta la proposta italiana di strategia energetica nazionale per raggiungere gli obiettivi di efficienza, riduzione delle emissioni di CO₂ e sviluppo delle fonti rinnovabili sulla base delle indicazioni europee.
Sul versante delle rinnovabili, il piano punta a una copertura del 30% dei consumi finali da fonti rinnovabili. Il contributo delle rinnovabili ai consumi finali è ripartito per il 55,4% nel settore elettrico, per il 33% nel settore termico e per il 21,6% nell’incorporazione di rinnovabili nei trasporti — ad esempio, mediante la massiccia diffusione di auto elettriche, che è previsto raggiungano i sei milioni di vetture nel 2030.
Lo spegnimento totale delle centrali a carbone, il cosiddetto phase-out, è fissato per il 2025: in questo senso si prevede che le rinnovabili elettriche aumenteranno — dal 34,1% di quota attuale — grazie allo sviluppo tecnologico e al potenziamento degli impianti attualmente in uso, in particolare quelli fotovoltaici ed eolici. Fondamentali saranno poi gli interventi di efficientamento energetico per favorire un minore consumo.
In questo contesto le reti elettriche assumono un ruolo ancora più centrale e strategico rispetto al passato, con una progressiva trasformazione dai flussi costanti di energia dalle grandi centrali ai centri di consumo a infrastrutture in grado di gestire e smistare, in modo dinamico, i flussi di energia variabili nel tempo e nello spazio per effetto della forte aleatorietà delle fonti rinnovabili.
Come afferma l’International Energy Agency, a ogni euro investito nelle fonti rinnovabili deve corrispondere oltre un euro investito nello sviluppo delle infrastrutture e nei servizi per trasportare l’energia prodotta: non serve a nulla installare pale eoliche laddove il vento soffia più forte — al largo del mare per esempio — se non si ha una rete elettrica in grado di trasportare l’energia prodotta nelle zone più popolate dove serve di più.
Quest'ultimo punto è diventato fondamentale per Terna, con il suo ruolo di 'abilitatore' della transizione energetica verso una produzione basata sulle rinnovabili. Le attività e la missione stessa del gruppo hanno una coincidenza quasi totale con alcuni dei Sustainable Development Goal delle Nazioni Unite.
I principali strumenti di Terna per il raggiungimento di questi obiettivi sono:
In particolare, l’impegno di Terna per favorire la decarbonizzazione ruota intorno all'investimento di importanti risorse per abilitare lo sviluppo sistemico delle rinnovabili.
Questo per l'operatore di reti di trasmissione si traduce in una costante attività di adeguamento delle infrastrutture, in modo che queste permettano il trasporto dell'energia prodotta da fonti rinnovabili, nonché nella pianificazione della rete e nella gestione in tempo reale del sistema elettrico.
L’energia elettrica è infatti molto difficile da immagazzinare, pertanto dev’essere prodotta e consumata al momento, facendo in modo che consumo e produzione siano bilanciati istantaneamente per evitare problemi nella continuità del servizio.
Ad esempio nelle ore serali l’energia prodotta dai pannelli solari decresce rapidamente, eppure è proprio nel secondo pomeriggio che si concentra il picco dei consumi dell’intera giornata. Al contrario, nelle ore centrali della giornata si concentra il picco della produzione di energia fotovoltaica e, negli scenari energetici futuri, aumenterà progressivamente l’esigenza di accumularla, in quanto in eccesso rispetto ai consumi. Inoltre, nel caso italiano, le regioni del Nord richiedono una maggiore quantità di energia mentre per naturale disponibilità di sole e vento la gran parte degli impianti di energia rinnovabile è concentrata nel Sud.
Per condurre l’Italia attraverso la transizione energetica, continuando a garantire qualità e sicurezza della fornitura di elettricità è quindi necessario tenere sempre presente questi cinque fattori.
A fianco allo sviluppo della rete elettrica nazionale, Terna sta lavorando per incrementare la capacità di interconnessione con i paesi confinanti, per aumentare l’integrazione della rete italiana con quella europea garantendo quindi lo scambio di energia e servizi (ad esempio, consentendo di utilizzare gli impianti di pompaggio italiani nel Nord Italia per fornire servizi all’estero). È il caso dell'interconnessione tra Italia e Francia: 190 chilometri di linea elettrica interrata e 25 comuni attraversati nella provincia di Torino,un progetto unico per soluzioni ingegneristiche e tecnologiche grazie alla progettazione e realizzazione della più lunga linea elettrica interrata al mondo, con una capacità complessiva da 1.200 MW e un bassissimo impatto sull'ambiente e sul territorio.
Più in generale, gli investimenti che Terna ha definito nel corso del tempo per favorire la transizione energetica puntano a rendere il sistema elettrico italiano più sostenibile e più fluido, insieme a una significativa riduzione delle emissioni di CO₂ nell’aria, dando un contributo significativo alla lotta al cambiamento climatico.