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Transizione

In nome del clima #6: c’è rumore negli oceani? Sì, troppo

Sfatiamo mensilmente alcuni credo su ambiente, cambiamento climatico e transizione ecologica. N°6: l’attività umana nei mari produce un inquinamento acustico che danneggia molte specie marine.

Le attività umane sono responsabili di varie forme di inquinamento acustico anche negli oceani, a scapito di molti animali marini che usano i suoni per comunicare tra loro, orientarsi e sfuggire ai pericoli – alcuni possono infatti percepire la presenza di altri animali o ostacoli fino a centinaia di chilometri di distanza: è il caso di delfini e balene, ma anche dei più piccoli pesci pagliaccio, che raggiungono le barriere coralline dove trascorreranno la propria vita grazie ai tanti suoni prodotti dalle creature che ci vivono.

È a partire della seconda metà del Novecento che l’uomo è in grado di ascoltare i suoni degli oceani: da allora moltissimi biologi hanno studiato l’impatto dei rumori di origine umana sulla vita dei pesci, come quelli causati dalle navi, da certe modalità di pesca, dalle piattaforme petrolifere o dalle esercitazioni militari.

Gli effetti negativi di questi rumori riguardano in particolare i mammiferi marini, come le balene e i delfini, riporta un articolo pubblicato su Science in cui si legge che «ci sono prove evidenti del fatto che il rumore compromette le capacità uditive degli animali marini ed è causa di cambiamenti fisiologici e comportamentali».

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Una balena nella acque del Sud del Pacifico (foto Elianne Dipp/Pexels.com)

Molti animali si sono adattati all’inquinamento acustico, le balene ad esempio imparano a evitare le principali rotte di navigazione, ma quando le attività umane – come le esercitazioni militari – causano rumori forti e improvvisi, gli animali marini possono diventare sordi.

Ci sono anche casi in cui certi rumori di origine umana sono permanenti, e spingono gli animali ad abbandonare un'intera area. È quel è successo intorno alle isole dell’arcipelago Broughton, in Canada, dove si trovano molti allevamenti di salmoni. Per tenere lontane le foche che se ne cibano, gli allevatori hanno usato dei dispositivi che producono dei suoni per loro fastidiosi, ma questo determinò il declino della popolazione locale di orche, che cacciava quelle stesse foche.

Molte soluzioni all’inquinamento acustico degli oceani esistono già: a tal proposito Steve Simpson, biologo marino dell’Università di Exeter e uno degli autori dell’articolo pubblicato su Science, ha detto al New York Times che «il rumore è più o meno il problema più facile da risolvere negli oceani», perché «sappiamo esattamente cosa lo causa, sappiamo dov’è e sappiamo come fermarlo». Nello specifico sarebbe necessario far rallentare certe navi, modificare alcune rotte di navigazione in modo da non farle avvicinare a precise aree dell’oceano, e cambiare le eliche più rumorose con altre più silenziose già disponibili nel mercato.

Nei prossimi anni, con lo sviluppo delle attività minerarie sui fondali oceanici è probabile che ci sarà ancor più rumore nei mari. Finora gli accordi internazionali per la salvaguardia degli ecosistemi marini non tengono conto dell’inquinamento acustico e del suo impatto sull’oceano, per questo gli scienziati sostengono che l’adozione di tecnologie insonorizzanti dovrebbe andare di pari passo con le nuove forme di sfruttamento dei mari.