Le attività umane sono responsabili di varie forme di inquinamento acustico anche negli oceani, a scapito di molti animali marini che usano i suoni per comunicare tra loro, orientarsi e sfuggire ai pericoli – alcuni possono infatti percepire la presenza di altri animali o ostacoli fino a centinaia di chilometri di distanza: è il caso di delfini e balene, ma anche dei più piccoli pesci pagliaccio, che raggiungono le barriere coralline dove trascorreranno la propria vita grazie ai tanti suoni prodotti dalle creature che ci vivono.
È a partire della seconda metà del Novecento che l’uomo è in grado di ascoltare i suoni degli oceani: da allora moltissimi biologi hanno studiato l’impatto dei rumori di origine umana sulla vita dei pesci, come quelli causati dalle navi, da certe modalità di pesca, dalle piattaforme petrolifere o dalle esercitazioni militari.
Gli effetti negativi di questi rumori riguardano in particolare i mammiferi marini, come le balene e i delfini, riporta un articolo pubblicato su Science in cui si legge che «ci sono prove evidenti del fatto che il rumore compromette le capacità uditive degli animali marini ed è causa di cambiamenti fisiologici e comportamentali».