La pandemia da Covid-19 ha comportato, tra le altre cose, un rilevante utilizzo di plastica in tutto il mondo, sia nel settore pubblico sia in quello privato: secondo il ministero dell’Ecologia e dell’Ambiente cinese, la sola città di Wuhan produceva 240 tonnellate di rifiuti sanitari al giorno all’apice della diffusione del virus, contro le 40 tonnellate prodotte prima dell’emergenza.
La pandemia ha infatti riportato al centro dell’attenzione l’ambiente, e con esso il tema del riciclo della plastica e l’effettiva possibilità di smaltirla. In Europa viene riciclato circa il 20% della plastica prodotta, mentre a livello globale tra il 14 e il 18% del totale. Per quanto riguarda l’Italia, solo il 30% della plastica raccolta viene riciclata, mediante un processo di recupero meccanico, mentre il 40% finisce nuovamente in discarica o viene bruciato in termovalorizzatori e inceneritori.
Il metodo del riciclo meccanico consiste nella raccolta e selezione della plastica, che viene successivamente lavata e tritata in flake, per poi essere riutilizzata. Ognuna di queste fasi, però, è particolarmente onerosa e spesso non porta ai risultati sperati. Inoltre non tutta la plastica è di per sé uguale, ma presenta differenti componenti al suo interno che ne determinano o meno la possibilità effettiva di riciclo.