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Transizione

In nome del clima #1: perché è sbagliato spersonalizzare la questione ambientale

Sfatiamo mensilmente alcune credenze su ambiente, cambiamento climatico e transizione energetica. N°1: non è vero che i comportamenti dei singoli non hanno conseguenze sulla lotta al cambiamento climatico.

Scegliere alimenti sostenibili, prendere meno aerei o installare i pannelli solari rientra nell’ambientalismo delle azioni quotidiane e individuali – il cosiddetto “performative environmentalism” –, e viene spesso sottostimato da accademici e attivisti, per cui l’unica azione con conseguenze concrete sulla lotta al cambiamento climatico è quella dei governi e delle organizzazioni internazionali. Secondo questa tesi, porre l’attenzione sui doveri delle persone e delle scelte individuali dei consumatori, invece che su quelli dei governi e delle grandi multinazionali, avrebbe persino effetti controproducenti.

Per Annie Lowrey, che sull’Atlantic ha intervistato diversi esperti in merito, sarebbe invece vero il contrario: la giornalista statunitense non crede che l’ambientalismo individuale e quotidiano possa avere effetti negativi, perché le scelte sostenibili dei singoli, per quanto piccole e irrilevanti, possono portare a importanti decisioni politiche; produrrebbero infatti imitazione e abitudini collettive, favorendo la costruzione di società ed economie più vicine alla questione ambientale grazie all’introduzione di leggi in tal senso.

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(Foto di Stephen Yang/The Solutions Project © Climate Visuals)

Sebbene il vero cambiamento passerà comunque attraverso l’azione dei governi – aspetto che Lowrey non mette in discussione, in linea con la corrente ambientalista contemporanea –, quello sui comportamenti individuali resta un «falso dibattito», dice lo scienziato del clima alla NASA Peter Kalmus. Secondo uno studio recente un’abitazione che installa pannelli solari aumenta la probabilità che lo faccia qualcun altro nella stessa area; allo stesso modo una ricerca con un campione di 6mila persone riporta che almeno un soggetto su cinque afferma di aver ridotto il numero di aerei presi per ragioni ambientali, in nome della cosiddetta flight shame: lo stigma (per quanto il fenomeno sia abbastanza di nicchia) associato ai voli low cost e sostituibili dal treno. L’impegno del 5 percento degli americani basterebbe a ridurre di 600 milioni di tonnellate all’anno le emissioni di anidride carbonica, conclude Brett Jenks, presidente della ong ambientalista Rare: «Sarebbe tra gli eventi più importanti nella storia dell’uomo, in termini di emissioni di gas serra».

C'è chi sostiene che gli sforzi ambientali dei cittadini possano essere un alibi per i governi per non agire, ma i cambiamenti sociali si costruiscono sulle pratiche individuali, che partono dall’impegno dei singoli e si sommano fino ad arrivare a tendenze collettive.

L’azione politica dei governi, inoltre, sarebbe facilitata da pratiche diffuse e comportamenti individuali sostenibili. Secondo Lowrey la legislazione funziona meglio quando rispecchia quello che la gente fa o sta iniziando a fare: in questo senso, se più persone avessero i pannelli solari o un’auto elettrica, sarebbe più facile introdurre leggi volte a incentivarli; allo stesso modo ridurre l’uso delle bottiglie in plastica monouso sarà tendenzialmente più semplice se – come sembra stia succedendo – sempre più persone si abitueranno a usare una borraccia.

Chi sostiene il contrario avanza l’ipotesi che gli sforzi ambientali dei cittadini possano essere un alibi per i governi per non agire; questo è però smentito da diversi esempi, come le leggi sulla produzione di pellicce, introdotte quando ormai si era diffusa un’ostilità diffusa verso la pratica. In generale, per Lowrey spersonalizzare la questione ambientale e il cambiamento climatico è sbagliato, perché non si tiene conto che i cambiamenti sociali si costruiscono sulle pratiche individuali, che partono dall’impegno dei singoli e si sommano fino ad arrivare a tendenze collettive.