Negli ultimi anni si è cominciato a studiare meglio lo scarto tra la retribuzione media delle donne e quella degli uomini, che da sempre è a favore dei secondi. L'obiettivo è capire perché esiste questo problema e da cosa dipende, ma anche come si potrebbe agire per correggerlo. Il tema delle differenze salariali di genere ha profonde radici culturali, visto che è in gran parte causato da secoli di discriminazione, più o meno esplicite, nei confronti delle donne: fino a pochi decenni fa, infatti, l’accesso da parte loro alle occupazioni più remunerative e di responsabilità era praticamente nullo. Inoltre, nella gran parte delle famiglie occidentali le donne avevano – e hanno ancora, anche se in misura minore – le maggiori responsabilità di cura della casa e dei figli, con grosse ricadute sulla carriera, e quindi sulla possibilità di accedere a stipendi più alti.
Quando si parla di scarti salariali determinati dal genere si usa spesso l'espressione "gender pay gap", che indica sia le differenze di stipendio tra maschi e femmine, sia la disparità rispetto a quanto guadagnano uomini e donne nello stesso ruolo. Secondo i dati Eurostat in Europa nelle aziende con più di 10 dipendenti le donne guadagnano in media il 12,7 percento in meno degli uomini. In Italia, analizzando i dati INPS sui lavoratori dipendenti del settore privato (escludendo quello agricolo), il reddito medio annuale lordo delle donne è poco superiore ai 18mila euro, contro gli oltre 26mila degli uomini – vale a dire uno scarto di circa 30 punti percentuali. Nel settore privato, inoltre, su 17 milioni di lavoratori, 9,7 sono uomini e 7,3 donne. Trend simili si riscontrano anche nel settore pubblico.