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Transizione

Perché è importante parlare di "gender pay gap"

Statisticamente le donne vengono pagate meno degli uomini, e sì: c'entrano anche gli stereotipi di genere e la discriminazione. Un approfondimento con Maria Cristina Bombelli, fondatrice di Wise Growth, ricercatrice ed esperta di human sustainability e inclusione, anche e soprattutto sui luoghi di lavoro.

Negli ultimi anni si è cominciato a studiare meglio lo scarto tra la retribuzione media delle donne e quella degli uomini, che da sempre è a favore dei secondi. L'obiettivo è capire perché esiste questo problema e da cosa dipende, ma anche come si potrebbe agire per correggerlo. Il tema delle differenze salariali di genere ha profonde radici culturali, visto che è in gran parte causato da secoli di discriminazione, più o meno esplicite, nei confronti delle donne: fino a pochi decenni fa, infatti, l’accesso da parte loro alle occupazioni più remunerative e di responsabilità era praticamente nullo. Inoltre, nella gran parte delle famiglie occidentali le donne avevano – e hanno ancora, anche se in misura minore – le maggiori responsabilità di cura della casa e dei figli, con grosse ricadute sulla carriera, e quindi sulla possibilità di accedere a stipendi più alti.

Quando si parla di scarti salariali determinati dal genere si usa spesso l'espressione "gender pay gap", che indica sia le differenze di stipendio tra maschi e femmine, sia la disparità rispetto a quanto guadagnano uomini e donne nello stesso ruolo. Secondo i dati Eurostat in Europa nelle aziende con più di 10 dipendenti le donne guadagnano in media il 12,7 percento in meno degli uomini. In Italia, analizzando i dati INPS sui lavoratori dipendenti del settore privato (escludendo quello agricolo), il reddito medio annuale lordo delle donne è poco superiore ai 18mila euro, contro gli oltre 26mila degli uomini – vale a dire uno scarto di circa 30 punti percentuali. Nel settore privato, inoltre, su 17 milioni di lavoratori, 9,7 sono uomini e 7,3 donne. Trend simili si riscontrano anche nel settore pubblico.

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Le ragioni di questo divario sono diverse, e collegate tra loro, ma a livello statistico, semplificando molto, si possono ricondurre a quattro categorie. La prima riguarda la cosiddetta “segregazione orizzontale”, per cui le donne finiscono a lavorare soprattutto in settori in cui gli stipendi sono di per sé più bassi, a prescindere dal genere. Il fatto che le donne facciano questi mestieri non dipende solo dalle singole preferenze, ma anche perché sono più portate a sceglierli per fattori di natura culturale e sociale. Sono le stesse variabili che influenzano ad esempio la scelta del percorso di studi, e contribuiscono a tenere lontane le donne dalle cosiddette lauree STEM, ossia quelle maggiormente scientifiche. Alcune ricerche hanno mostrato che gli stereotipi di genere non solo portano più uomini a scegliere di frequentare percorsi universitari vicini alla matematica o all’ingegneria, tra le altre cose, ma tengono le donne lontane da queste discipline – perché tendono a interiorizzare che non avranno mai lo stesso successo degli uomini.

La seconda categoria è la "segregazione verticale", che invece definisce le effettive minori opportunità di carriera per le donne rispetto agli uomini, e la difficoltà per loro di ottenere promozioni o posizionamenti più alti. La terza riguarda il fatto che tra congedi parentali, maternità, aspettative, part-time e contratti a tempo determinato le donne finiscono per lavorare ogni anno meno ore dei colleghi maschi, quindi sono pagate di meno. L'ultima categoria è rappresentata invece dalla quota residuale che i ricercatori non si riescono a spiegare, probabilmente costituita anche da una scelta arbitraria dei datori di lavoro di pagare le donne meno degli uomini.

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Ma il punto non è tanto spiegare che ci sono, le differenze salari di genere, quanto poi domandarsi perché esistono, e come influenzano il settore del lavoro in termini di inclusività. Terna, la società che gestisce la rete di trasmissione elettrica nazionale, è impegnata da tempo per garantire un ambiente di lavoro inclusivo, in cui le unicità di ogni persona vengano valorizzate, in coerenza anche con il valore chiave del Rispetto, al centro del proprio modello di leadership.

Per questo, proprio quest’anno Terna ha ottenuto dall’Organismo di Certificazione IMQ - Istituto italiano Marchio di Qualità, il certificato che attesta la conformità del suo Sistema di Gestione per la Parità di genere alla norma UNI/PdR 125:2022, un obiettivo che evidenzia l’impegno del Gruppo per l'equità e le pari opportunità nella selezione, crescita, sviluppo e remunerazione. A valle di un incontro organizzato dal gestore del sistema di trasmissione elettrica nazionale nell'ambito della sua Academy, dal titolo "La cultura del rispetto. Oltre l'inclusione", abbiamo parlato di questi temi con Maria Cristina Bombelli, fondatrice di Wise Growth, azienda di consulenza nell’ambito della human sustainability, e ricercatrice che fin dagli anni Ottanta si è occupata tra le altre cose di inclusione, anche e soprattutto sui luoghi di lavoro.

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Maria Cristina Bombelli è una ricercatrice esperta di inclusione e ha fondato Wise Growth, azienda di consulenza attiva nel settore della cosiddetta human sustainability

Dottoressa Bombelli, a livello aziendale che cosa si intende per inclusività?

«Comprendere l’inclusività significa essere consapevoli di quali siano le situazioni in cui una persona si sente esclusa, in azienda e non. Quando un individuo viene in qualche modo emarginato, tanto a livello sociale quanto nella dimensione lavorativa, tende a sviluppare sentimenti legati alla rabbia e al rancore, che poi hanno ricadute negative sulla cultura della stessa organizzazione. L’esclusione, insomma, non porta ossigeno alla vita aziendale. Il sentimento di appartenenza, invece, contribuisce a rendere sano e dinamico l’ambiente di lavoro. Soprattutto quando c’è una dichiarazione di intenti, è importante manifestare all’azienda quali sono le ragioni per cui non ci si sente inclusi, così da correggere questi meccanismi».

«È certamente possibile favorire l’inclusività, faticosamente e nel lungo periodo, e il concetto fondamentale da cui iniziare è la consapevolezza: bisogna innanzitutto comprendere quali sono le aree critiche della propria cultura aziendale e partire da lì».

Maria Cristina Bombelli Fondatrice di Wise Growth, azienda di consulenza nell’ambito della human sustainability

Come si può iniziare a favorire percorsi di inclusività in azienda?

«L’inclusività rappresenta innanzitutto una scelta su come si intende gestire le persone all’interno della propria azienda. Una scelta, questa, che è sicuramente di natura manageriale, ma anche etica. Diffondere una cultura del rispetto è un impegno che un’organizzazione deve essere in grado di prendersi, facendo riferimento a due concetti chiave: “continuità” e “profondità”. Il primo è relativo al fatto che un’azienda deve essere consapevole che la cultura del rispetto non si costruisce dall’oggi al domani, ma rappresenta un percorso lungo e complesso. Il secondo, invece, richiama la necessità di comprendere, anche in modo teorico, il fatto che ciascuno di noi predilige individui simili, e che l'inclusione della diversità comporta una fatica organizzativa e soggettiva».

Quali sono i rischi per un’azienda nel perpetuare, anche inconsciamente, pregiudizi e stereotipi?

«Il più grande rischio è quello di gestire in maniera scorretta il personale. Quando si parla di pluralità e inclusione in un’azienda si cerca di innescare un cambiamento di tipo culturale, che tocca tutte le dimensioni di un’organizzazione. Lo si fa spiegando quali sono le trappole in cui si cade quando non si considera o si sottovaluta l’importanza dell’inclusività, facendo un focus anche sul linguaggio e i comportamenti che la favoriscono – e cercando di arrivare così a un cambiamento nel tempo».

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L'impegno di Terna per l'inclusione delle persone con disabilità. Promuovere l’uguaglianza e il rispetto della pari opportunità; garantire che tutti i dipendenti e collaboratori abbiano una condotta rispettosa, che rifletta l’inclusione, il Codice Etico e i valori dell'azienda; favorire il bilanciamento tra generi e sostenere la gender equality; realizzare specifici programmi e iniziative per assicurare la conciliazione tra vita professionale e vita privata. Sono solo alcune delle princiali attività e iniziative che Terna ha strutturato in questi anni per valorizzare l’unicità delle persone e sostenere il valore della diversità.

In occasione della Giornata Internazionale delle persone con disabilità, che ricorre il 3 dicembre, Terna ha presentato un nuovo progetto verticale di inclusione delle persone con disabilità, con l’obiettivo di creare valore per l'azienda e per il Paese. Il programma si chiama Terna Ability, è articolato in numerose iniziative e strutturato in quattro aree d’azione, al fine di avviare un cambiamento culturale volto ad aumentare la consapevolezza, abbattere gli stereotipi e offrire nuove prospettive sul tema e sul valore della disabilità: "Cultura e sensibilizzazione", "Recruiting & employee journey", "Rete e alleanze", "Comunicazione interna ed esterna".

Terna Ability è collegato agli obiettivi del Piano ESG di Terna, con cui l’azienda si è impegnata a creare uno sportello di ascolto, promuovere un linguaggio inclusivo, sensibilizzare sul tema della disabilità e consolidare la formazione di coloro che si occupano di selezione del personale, in modo da garantire pari opportunità di accesso.

Leggi di più sulle INIZIATIVE DI TERNA PER LA PARITÀ DI GENERE E L’INCLUSIONE IN AZIENDA