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Sfide

La "febbre" da Open Innovation in Silicon Valley. Parla Alberto Onetti

L'innovazione aperta non è una moda ma una necessità ed è fondamentale per le aziende, grandi e piccole, che vogliono sopravvivere sul mercato. Ce lo spiega in questa intervista il presidente di Mind The Bridge, piattaforma globale dedicata all'innovazione.

Sempre più aziende italiane stanno consolidando la propria presenza nello scacchiere internazionale dell’innovazione puntando a nuovi modelli e nuove forme di Open Innovation in Silicon Valley, la culla della tecnologia per eccellenza. Un'opportunità colta anche da Terna. Il gestore della rete elettrica nazionale ha iniziato ad avere una presenza sempre più strutturata nella Bay Area di San Francisco grazie alla collaborazione con Mind the Bridge, organizzazione internazionale che fornisce consulenza e supporto per l'innovazione ad aziende ed ecosistemi di startup di tutto il mondo. Con base in California e presenza in Europa e in Asia, dal 2007 Mind the Bridge è il ponte fra le grandi aziende e le startup, soprattutto quando diventano "scaleup". E lo fa da quando in Italia si parlava ancora poco di Open Innovation.

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Un gruppo di professionisti Terna con Alberto Onetti (l'ultimo a destra, in camicia bianca) a margine dello Scaleup Summit organizzato da Mind the Bridge nell'ottobre 2022 (foto Mind the Bridge)

Sul perché le aziende intraprendono la strada dell'"innovazione aperta" in Silicon Valley abbiamo parlato con Alberto Onetti, Chairman di Mind the Bridge. «Oggi il paradigma che si è ormai consolidato è quello dell'Open Innovation», che sostanzialmente significa che «nessuna azienda, per quanto grande, può progettare il proprio futuro internamente».

Per questo motivo le aziende nostrane devono guardare all'estero per fare scouting di innovazione, ossia selezionare le soluzioni e i partner tecnologici più adatti a sviluppare l'innovazione di prodotto e di processo, molto diverso dalle tradizionali modalità di procurement che le grandi aziende utilizzano. Qui, il rapporto è invertito. Sono le aziende, anche quelle più grandi, che competono per attirare l’attenzione delle startup. Sono loro che guidano i giochi e non il contrario. E, se non percepiscono consistenza, non perdono tempo. La Silicon Valley è un mondo dove il tempo corre veloce e si misura in minuti e ore, non in mesi o addirittura anni. La ragione? «Perché non possiamo immaginare che quello che oggi funziona domani valga ancora», spiega.

D’altro canto, per Onetti «le aziende hanno bisogno di soluzioni innovative che funzionino, volte a una certa efficienza, e quindi è abbastanza naturale e razionale guardare ai posti dove c'è una maggiore densità di innovazione. L’Italia in termini di numero di startup produce dei numeri piccoli e che hanno anche un livello di investimenti abbastanza modesto. È difficile statisticamente trovare buone soluzioni se il bacino di pesca è piccolo».

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Il Golden Gate di San Francisco (Craig Dennis/Pexels.com)

I dati, inequivocabili secondo Onetti, ci dicono che la Silicon Valley è il luogo dove c'è la maggiore concentrazione di startup e scaleup innovative al mondo, «comparabile a quella del continente europeo». Nella mappa globale dell'innovazione digitale, «al secondo posto c’è Israele. Qui si concentrano gli avamposti di innovazione delle grandi aziende mondiali». E se succede, di certo c'è un motivo secondo Onetti. «È molto più efficiente trovare soluzioni dove ci sono più startup innovative e sono anche più mature». E questo vale per la Silicon Valley come per Israele, che «non sono solo i Paesi dove sono concentrate tante realtà in territori molto piccoli, ma sono anche la sede di startup che hanno un grande accesso ai capitali». In poche parole, «sono ben finanziate, più mature, e dunque pronte per essere adottate da grandi aziende».

Il fenomeno non è per nulla una "moda". «Oggi se ne parla tanto e se ne parla da poco in Italia, ma l'Open Innovation è una necessità per le aziende per potere rimanere sul mercato». In un contesto di turbolenze e trasformazioni, come quello che stiamo vivendo, innovare non è solo un'opportunità di crescita ma anche la chiave per la «sopravvivenza». E questo vale indipendentemente dal settore e dalle dimensioni.

«Non c'è un alibi dimensionale all'innovazione»: quindi anche le piccole e medie imprese, la spina dorsale dell’economia italiana, devono innovare. «È ovvio che per loro è più complicato perché è un processo culturalmente complesso che richiede anche risorse dedicate», ma non impossibile e soprattutto «non differibile». Il messaggio di Onetti è piuttosto chiaro: «Bisogna guardare avanti e non guardare all'oggi. O evolvi o ti estingui. Non ci sono alternative». Bisogna adottare approcci di open innovation più ambiziosi, con un vero respiro internazionale.

«L’Open Innovation è una necessità per le aziende che vogliano rimanere sul mercato. In un contesto di turbolenze e trasformazioni, come quello che stiamo vivendo, innovare non è solo un'opportunità di crescita ma anche la chiave per la "sopravvivenza". E questo vale indipendentemente dal settore e dalle dimensioni».

Inoltre una strategia di innovazione aperta garantisce numerosi benefici, poiché le aziende possono trarre profitto da un considerevole «risparmio di costi e dei tempi, incrementando l’efficienza e l’efficientamento dei processi di business» attingendo a risorse e conoscenze esterne. «L'innovazione tecnologica migliora sicuramente di molto la performance. Sono investimenti che hanno un ritorno immediato e che possono migliorare il modo in cui le aziende operano oggi. E poi ci sono innovazioni che danno la possibilità all'azienda di entrare sui mercati e di sviluppare nuovi prodotti, processi e servizi e che invece hanno un impatto sulla curva della vita dell’azienda, danno la possibilità di cambiare pelle» perché «nessun settore ha una risposta immune dal rischio di essere spazzato via. E l’esempio di Blockbuster ne è una prova. Quindi bisogna avere la capacità di identificare delle nuove direzioni su cui mettere poi a fattore comune tutte le varie competenze».

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Il presidente di Mind the Bridge Alberto Onetti (fonte Linkedin)

Ma come funziona il modello di Mind the Bridge? «Il modello che abbiamo implementato in Silicon Valley con tante aziende italiane, tra cui anche Terna, è il modello di avere innanzi tutto un'antenna di innovazione, ossia un presidio fisso gestito da noi dove, lavorando con il team dell’innovazione dell’azienda, facciamo da "antenna" di quello che sta succedendo in Silicon Valley». Con l'obiettivo di identificare e intercettare «i trend tecnologici emergenti in specifici ambiti d’interesse», ma anche di «capire dalle indicazioni dell'azienda le direttrici di sviluppo».

«Il passo successivo è quando l'antenna si trasforma in quello che noi chiamiamo outpost», ossia un punto d'accesso privilegiato sull'ecosistema in cui nascono le principali opportunità di innovazione e di business. «Quindi una fase più strutturata». Si tratta di «ospitare da noi una persona del team di Innovazione dell'azienda che lavora insieme ai nostri e questo dà una maggiore capacità di poter mettere un maggiore numero di risultati a terra. Perché tipicamente il processo parte, poi vengono attivate delle direttrici d'interesse, che noi chiamiamo scouting, con quella attività in cui si cercano soluzioni innovative, le start up». Queste vengono attentamente «analizzate e filtrate, passando da una lista lunga a una corta e poi portate a incontrare le business unit dell'azienda». E da questi incontri, non da tutti specifica Onetti, di solito nascono degli «interessi a proseguire che vengono trasformati in un progetto pilota e, se questo funziona, viene messo in produzione».

Si tratta, in conclusione, di «un percorso che richiede di vedere magari migliaia di startup per poi arrivare a fare partire una dozzina di collaborazioni. Ma quella dozzina di collaborazioni sono quelle che portano risultati», che permettono di crescere, di innovare e di «prepararsi per il futuro, che è oggi e non domani».