Clima climate ghiacciaio iceland Pixabay Pexels
Insight

COP29: promesse di finanza, ma nessun passo deciso contro emissioni e fonti fossili. Ora la speranza è Belém

La conferenza di Baku ha mostrato quanto sia difficile raggiungere un accordo globale che faccia davvero la differenza. E già si guarda alla COP30 nel 2025, che possa portare azioni più concrete.

La Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che si è tenuta a Baku, in Azerbaigian, dall’11 al 24 novembre 2024 (COP29), ha visto una lunga maratona di negoziati tra i quasi 200 paesi partecipanti, caratterizzata da discussioni accese e momenti di stallo. Le trattative, che dovevano terminare il venerdì 22 novembre, si sono prolungate fino a sabato notte e alle prime ore di domenica, quando finalmente è stato raggiunto un compromesso. Nonostante alcuni progressi tangibili, l'accordo finale non ha pienamente risposto alle aspettative globali. Le divisioni emerse nel settore energetico e gli obiettivi considerati insufficienti da molti Paesi hanno evidenziato i passi avanti, ma anche i numerosi nodi ancora irrisolti.

La finanza per il clima: un impegno inadeguato? Il risultato più discusso della COP29 è stato l’accordo sulla finanza climatica, che ha fissato l’obiettivo di raccogliere 300 miliardi di dollari all’anno entro il 2035 per sostenere i Paesi in via di sviluppo, i più vulnerabili agli impatti dei disastri climatici, nonostante il loro contributo minimo alle cause di questi fenomeni. Questo impegno, noto come New Collective Quantified Goal (NCQG), segna un progresso rispetto ai 100 miliardi previsti per il periodo 2025-2030 e ai 250 miliardi proposti, ma resta ben al di sotto dei 390 miliardi stimati dalle Nazioni Unite per la mitigazione e l’adattamento, e ancora più lontano dalle stime economiche, che parlano di un fabbisogno annuale tra i 455 e i 584 miliardi.

Cop 29 Baku conferenza clima
Un momento di una conferenza che si è tenuta nel corso della COP29 nel novembre 2024 a di Baku, in Azerbaigian (Cop29.az)

L'obiettivo di 1.300 miliardi di dollari resta un sogno lontano. L'importo fissato è anche lontano dalle richieste avanzate da numerosi Paesi in via di sviluppo, che avevano chiesto fino a 1.000 o addirittura 1.300 miliardi di dollari all’anno entro la metà del prossimo decennio. In effetti, l’obiettivo di 1.300 miliardi (articolo 7) è stato mantenuto come un target ideale, da raggiungere grazie anche a contributi provenienti da tutte le fonti di finanziamento disponibili, comprese quelle pubbliche e private, senza fornire dettagli specifici sulle modalità di erogazione. Viene solo suggerito di aumentare la quota di sovvenzioni, soprattutto per i Paesi meno sviluppati e i piccoli Stati insulari, ma senza fissare limiti minimi, come richiesto dai Paesi vulnerabili, che avrebbero preferito che gli Stati industrializzati si facessero carico di almeno questa cifra.

Soluzioni per mobilitare la finanza, ma le modalità restano vaghe. La raccolta di questi 300 miliardi sarà sostenuta da una varietà di fonti, tra cui finanziamenti pubblici e privati, contributi bilaterali e multilaterali, e soluzioni innovative come le tasse sul carbonio, gli climate-debt swaps (meccanismi che consentono ai Paesi in difficoltà economica di ridurre il loro debito in cambio di azioni per il clima), e i contributi filantropici. Anche in questo caso, però, non sono stati definiti i dettagli sull’erogazione e si ribadisce la necessità di un incremento della quota di sovvenzioni per i Paesi meno sviluppati e i piccoli Stati insulari, al fine di allievare il carico sui Paesi già in difficoltà economiche.

Entrambi gli articoli, pur fissando importi rilevanti, sembrano scardinare il principio tradizionale per cui la finanza climatica è responsabilità esclusiva dei Paesi industrializzati. Infatti, mentre l’articolo 7 stabilisce che tutti i Paesi siano chiamati a lavorare insieme per aumentare la finanza climatica verso i Paesi in via di sviluppo, l'articolo 8 evidenzia che, pur con un impegno primario da parte dei Paesi sviluppati, anche i Paesi in via di sviluppo devono partecipare a questo sforzo, modificando così la tradizionale distribuzione dei carichi finanziari. Riguardo ai destinatari, entrambi gli articoli non distinguono specificamente tra i Paesi "più vulnerabili" e quelli in via di sviluppo in generale, eliminando la priorità verso i Paesi "particolarmente vulnerabili", prevista nelle discussioni precedenti. Tuttavia, i fondi saranno destinati ai Paesi che affrontano le maggiori difficoltà legate ai cambiamenti climatici.

Cop29 incontro delegazioni
Una foto di gruppo alla COP29, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che si è tenuta a Baku, in Azerbaigian (Cop29.az)

Roadmap verso la COP30: nuovi obiettivi e revisione dei fondi al 2030. Oltre a ciò, l’intesa finale prevede anche due importanti novità: una roadmap di attività che guiderà le iniziative fino alla COP30 in Brasile nel 2025, con l'obiettivo di capire come mobilitare i 1.300 miliardi di dollari all’anno, concentrandosi su sovvenzioni, strumenti a tassi agevolati e misure per creare "spazio fiscale". Inoltre, l'accordo prevede una revisione dei nuovi obiettivi di finanza climatica già nel 2030, per verificare i progressi e fare eventuali aggiustamenti.

Come verranno utilizzati i fondi? I fondi raccolti saranno destinati principalmente a due ambiti: l’adattamento e la transizione energetica. I fondi destinati all'adattamento serviranno a costruire infrastrutture resilienti ai cambiamenti climatici, sostenere pratiche agricole sostenibili e rafforzare la difesa contro eventi meteorologici estremi. La transizione energetica, invece, punta a finanziare la crescita delle energie rinnovabili e ridurre progressivamente la dipendenza dai combustibili fossili, per abbattere le emissioni globali e garantire un futuro energetico più sostenibile. Questi due settori sono fondamentali per permettere ai Paesi vulnerabili di affrontare gli impatti del cambiamento climatico e avviare una trasformazione economica verso un modello più sostenibile.

Chi mette i soldi? Uno degli aspetti più dibattuti della COP29 è stato chi fornirà i fondi per la transizione climatica. In effetti, questa è una delle principali novità della COP29: la conferenza ha finalmente scardinato il paradigma che dal 1992 vedeva solo i Paesi ricchi come finanziatori, aprendo alla partecipazione delle economie emergenti come Cina e Arabia Saudita (articolo 9). Tuttavia, il contributo rimane volontario e privo di obblighi vincolanti, riducendo così notevolmente la sua efficacia. Nonostante l'apertura a una partecipazione più globale, l’assenza di impegni concreti ha indebolito l'accordo, mantenendo il finanziamento climatico in una zona grigia. Inoltre, il sistema non risolve la distribuzione delle responsabilità: la Cina, pur avendo un’economia comparabile a quella degli Stati Uniti e un bilancio di emissioni tre volte superiore a quello europeo, continua a essere considerata un Paese in via di sviluppo.

A complicare la situazione, c'è la minaccia di un ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, che potrebbe portare gli Stati Uniti a ritirarsi dagli Accordi di Parigi, come già accaduto nel suo primo mandato. Questo scenario alimenta dubbi sulla stabilità dell'accordo e sulla capacità dell'intera comunità internazionale di mantenere un fronte unito nella lotta al cambiamento climatico, mentre la crescente attenzione occidentale su conflitti geopolitici rischia di relegare la sostenibilità a un tema marginale.

Cop29 Azerbaigian Baku manifestazione
Il centro conferenze che ha ospitato la COP29 di Baku, in Azerbaigian (Cop29.az)

Il settore energetico: un passo indietro sulla transizione fossile. Il settore energetico è stato uno dei temi centrali della conferenza. Nonostante i numerosi appelli per una rapida decarbonizzazione, l’accordo finale ha fatto un passo indietro rispetto agli impegni presi alla COP28 di Dubai. Anziché stabilire una messa al bando dei combustibili fossili, si è parlato di "combustibili di transizione", permettendo così a gas naturale e petrolio di rimanere in uso per decenni, nonostante gli appelli per una rapida decarbonizzazione. In particolare, i Paesi produttori di petrolio, tra cui l'Azerbaigian, hanno fatto barriera, temendo che misure drastiche danneggiassero le loro economie basate sui fossili. In sostanza, l’accordo sulla transizione energetica ha confermato la volontà di ridurre le emissioni, ma senza fornire impegni vincolanti per una rapida uscita dal petrolio e dal gas. La conferenza si è concentrata principalmente sulla finanza climatica, ma la mancanza di un’azione decisa sulle misure di mitigazione e sul dialogo del Global Stocktake (GST) ha mostrato la mancanza di un’effettiva ambizione. In sostanza, la COP29 ha fissato il quadro per il futuro, ma senza l’ambizione e l’urgenza necessarie per affrontare davvero la crisi climatica.

La mitigazione, un campo di battaglia senza conquiste concrete. Il Mitigation Work Programme (MWP) è stato uno dei temi discussi alla COP29, con l’obiettivo di stabilire azioni concrete per ridurre le emissioni di gas serra e limitare l’aumento della temperatura globale. Tuttavia, il testo finale non include impegni concreti. Non solo sono scomparsi i riferimenti agli obiettivi di contenimento del riscaldamento globale fissati nell’Accordo di Parigi (1,5° C o 2° C), ma anche l’obiettivo di ridurre le emissioni del 43% entro il 2030 e del 60% entro il 2035 rispetto ai livelli del 2019, che figurava nelle bozze preliminari, è stato eliminato. Nessun riferimento è stato fatto alla neutralità carbonica o all’importanza di rispettare le linee guida dell’IPCC, il principale organismo scientifico per il cambiamento climatico.

Inoltre, il documento finale non contiene alcuna proposta concreta per l’espansione delle energie rinnovabili. Il MWP, in definitiva, non fa che menzionare vagamente il dialogo sui cambiamenti climatici nelle città, ma non offre alcuna traccia di politiche climatiche concrete o obiettivi di mitigazione realizzabili e la questione delle riduzioni globali delle emissioni è stata rimandata alla COP30. La verità è che, con il riscaldamento globale che sta accelerando e il 2024 che si prepara a essere l’anno più caldo mai registrato (secondo il Servizio europeo sul cambiamento climatico Copernicus), il rischio di non riuscire a mantenere il riscaldamento sotto i 1,5° C è sempre più concreto. La mancanza di impegni chiari alla COP29 ha solo alimentato l'incertezza, mentre i segnali del cambiamento climatico sono ormai inequivocabili.

Il Global Stocktake: un processo senza direzione. Il Global Stocktake (GST), pilastro dell’Accordo di Parigi, avrebbe dovuto fare il punto sui progressi globali nella lotta al cambiamento climatico, valutando se e come gli Stati dovrebbero aggiornare i loro Contributi Nazionali Volontari (NDC). Sebbene il primo GST alla COP28 abbia mostrato progressi insufficienti, a Baku non sono stati fatti passi significativi. A Baku, infatti, tre temi chiave hanno reso difficili i negoziati: la definizione delle basi scientifiche da usare, la questione dei flussi finanziari, e il dialogo annuale sul GST. Di questi, solo il Dialogo EAU (Emirates Ambition and Unity Dialogue) ha prodotto un testo finale, ma non approvato dalla plenaria, rimandando il tutto alla COP30 di Belém. Le lacune principali del testo sul GST sono la mancanza di un processo di monitoraggio efficace per verificare l'attuazione degli obiettivi, come la transizione dalle fossili alle rinnovabili, e l'assenza di obiettivi concreti in settori cruciali come reti elettriche, stoccaggio dell’energia o divieto di nuove centrali a carbone. Senza un piano di attuazione chiaro, il rischio che il GST resti inefficace è elevato.

Cop 29 Baku incontro delegazioni
Una delle tante conferenze che si sono tenute nel corso della COP29 di Baku, in Azerbaigian (Cop29.az)

Adattamento: passi avanti, ma non sufficienti. Un passo in avanti è stato compiuto sull’adattamento al cambiamento climatico, in particolare riguardo al Global Goal on Adaptation (GGA). Dopo un lungo stallo, il GGA è stato rilanciato l’anno precedente a Dubai e a Baku sono stati adottati alcuni passi concreti. Le delegazioni hanno concordato su un numero ridotto di indicatori per monitorare i progressi nell’adattamento, passando da circa 5.000 proposte iniziali a un massimo di 100, per bilanciare una valutazione globale con le specificità nazionali. Questi indicatori, come delineato dall’articolo 20 della decisione, includeranno sia indicatori globali che altri opzionali, lasciando spazio a una certa flessibilità nazionale. Il lavoro su questi indicatori continuerà fino alla COP30 di Belém, dove saranno perfezionate le modalità di valutazione.

Un altro tema centrale è stato l’inserimento dei mezzi di attuazione per l’adattamento, con particolare attenzione ai finanziamenti. Sebbene i paesi sviluppati si siano opposti a obiettivi specifici di adattamento nel nuovo obiettivo globale di finanziamento post-2025, alla fine si è adottata la formula dei "fattori abilitanti", riconoscendo che i finanziamenti sono essenziali, ma non l'unico elemento determinante per il progresso, evitando di legarli a condizioni troppo rigide. Si è discusso anche l’adattamento trasformativo, che implica cambiamenti radicali nei sistemi sociali ed economici per affrontare le cause profonde della vulnerabilità ai cambiamenti climatici. Sebbene vi siano ancora incertezze su come definire questo tipo di adattamento, la COP29 ne ha riconosciuto l’importanza. Tuttavia, i Paesi in via di sviluppo temono che l’inclusione dell’adattamento trasformativo nel GGA possa limitare l'accesso ai fondi, imponendo condizioni troppo onerose. Al contrario, i Paesi sviluppati vedono in questo concetto un'opportunità per indirizzare meglio le risorse disponibili.

Infine, il negoziato sui Piani Nazionali di Adattamento (PNA), strumenti cruciali per la pianificazione e l'attuazione delle azioni di adattamento nei Paesi vulnerabili, è stato rinviato alla COP30, poiché a Baku non è stato raggiunto un consenso sul testo. I PNA sono fondamentali per monitorare i progressi nell’adattamento e il lavoro su questo dossier riprenderà nella sessione intermedia di negoziati a Bonn, nel 2025.

Cop 29 Baku Cop 30 Belem Brasile
La prossima COP, la numero 30 della storia, si terrà in Brasile nel novembre del 2025 (Cop29.az)

Mercati del carbonio: un accordo criticato. Durante la COP29 di Baku sono stati compiuti passi anche nell’implementazione dell'articolo 6 dell’Accordo di Parigi, che disciplina i mercati del carbonio, strumenti volti a incentivare la riduzione delle emissioni e a promuovere la cooperazione internazionale. Nonostante i progressi, permangono diverse problematiche, in particolare riguardo alla trasparenza e agli approcci non di mercato.

Un risultato chiave è stato il perfezionamento delle regole per l'articolo 6.2, che regola lo scambio bilaterale di unità di emissione, note come ITMO (Internationally Transferred Mitigation Outcomes). Questi crediti rappresentano riduzioni di CO2 trasferibili tra Paesi per il raggiungimento degli obiettivi climatici nazionali (NDC). È stato adottato un sistema a doppio livello: un registro internazionale traccerà questi trasferimenti, collegandosi ai registri nazionali e a quello centrale del meccanismo globale. Questo garantirà maggiore tracciabilità, ma permangono criticità sulla trasparenza: le verifiche dei dati, pur obbligatorie, non sono accompagnate da sanzioni per errori, e le informazioni vengono spesso pubblicate in ritardo, limitando così il monitoraggio in tempo reale. Inoltre, si è discusso sulla flessibilità delle autorizzazioni per gli ITMO, in particolare sulla possibilità di modificare le condizioni di trasferimento. I negoziatori sono riusciti a raggiungere un compromesso, ma i rischi di incoerenze restano.

Sul fronte dell’articolo 6.4, che istituisce un mercato globale per i crediti di carbonio, la transizione dal precedente Clean Development Mechanism (CDM) è stata semplificata, ma ciò ha sollevato preoccupazioni sull’efficacia ambientale dei crediti da progetti esistenti, non sempre in grado di garantire riduzioni reali. Inoltre, le nuove regole permettono anche l'emissione di crediti legati alla rimozione della CO2 attraverso tecnologie come la cattura e lo stoccaggio del carbonio, ma emergono dubbi sulla permanenza di queste rimozioni e sulla loro efficacia a lungo termine. Le linee guida per questi meccanismi non sono ancora sufficientemente chiare, e altre decisioni tecniche, come quelle relative alla metodologia di monitoraggio e ai rischi di reversibilità delle riduzioni, sono state rinviate al Supervisory Body, un organismo di esperti che inizierà a operare nel 2025. Infine, sull’articolo 6.8, che promuove approcci non di mercato, i progressi sono stati limitati. È stata creata una piattaforma per favorire la cooperazione tecnologica e politica per ridurre le emissioni, ma i Paesi in via di sviluppo hanno sottolineato la necessità di misurare l’efficacia di queste soluzioni nel contribuire agli obiettivi climatici nazionali.

COP29 segretario generale Nazioni Unite Antonio Guterres
Il segretario generale delle Nazioni Unite António Manuel de Oliveira Guterres durante la COP29 a Baku, in Azerbaigian (Cop29.az)

Pochi risultati sulle soluzioni per i Paesi vulnerabili. Non è mancato il confronto sulle soluzioni per i Paesi vulnerabili, che sono i più colpiti dai cambiamenti climatici. Alcuni Stati come India, Nigeria e i piccoli Stati insulari del Pacifico hanno espresso una forte delusione per il fatto che la COP29 non abbia preso impegni sufficienti a supporto dei Paesi che rischiano la scomparsa a causa dell’innalzamento del livello del mare, delle distruzioni da eventi climatici estremi e di altre catastrofi naturali. Anche la richiesta di un fondo per le riparazioni climatiche (per compensare i danni causati dal cambiamento climatico) non ha avuto l'attenzione che molti si aspettavano.

COP29: un piccolo progresso, ma non basta. Occhi sul Brasile. La COP29 ha fatto qualche progresso, ma i compromessi sono stati deludenti. Le misure sulle emissioni e la transizione dai combustibili fossili sono state deboli, e il fondo climatico, pur ampliato, non basta a fronteggiare la crisi. Insomma, la conferenza ha mostrato quanto sia difficile raggiungere un accordo globale che faccia davvero la differenza. Gli occhi ora sono puntati sulla COP30 di Belém, già definita la "COP delle COP". Lì si cercherà di affrontare le questioni lasciate in sospeso a Baku, come la riduzione delle emissioni e una vera accelerazione verso la transizione energetica. Tuttavia, l'espansione della produzione di combustibili fossili in Brasile solleva dubbi sulla compatibilità tra gli obiettivi climatici globali e le politiche nazionali. La prossima conferenza sul clima dovrà essere il momento in cui si passa dalle promesse ai fatti, ma la domanda resta: quanto tempo ci vorrà ancora per fare il passo decisivo? E la risposta, purtroppo, sembra lontana.