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In prima linea

Fare fronte alle sfide è tutta una questione di programmazione

L’energia delle persone Terna ai tempi del Covid-19. Sofia Padovani, 27 anni, ingegnere energetico, racconta la sfida dell’emergenza virus dal punto di vista del team Programmazione di Bologna.

Ripensare i progetti, soprattutto in termini di pianificazione, è stata una delle più importanti sfide per aziende e individui in questo periodo di emergenza Covid. Per Terna, in particolare, se ne sono occupati i team di Programmazione, il cui compito è proprio quello di pianificare gli interventi (come manutenzione o sviluppo) sulla rete elettrica controllando che tutto vada per il meglio a livello operativo e burocratico.

Sofia Padovani fa parte della squadra dell’Unità Impianti di Bologna da quasi due anni e, oltre ad essere l’unica quota femminile della sua struttura, è anche giovanissima: ha solo 27 anni, il gestore della rete elettrica ha deciso di puntare su di lei subito dopo la laurea in ingegneria energetica. “Ho caricato il curriculum sul sito di Terna e sono stata selezionata. Era nella lista delle aziende a cui puntavo di più, perché la conoscevo già e ne avevo sentito parlare durante i miei studi, però non me l’aspettavo. Alla fine, è andata bene!”, racconta.

“Mi sono trovata molto bene e il merito è delle persone, dei miei colleghi. A parte il normale salto dal mondo dell’università a quello del lavoro, cominciare in un’azienda così grande non è stato difficile, proprio perché il clima che si respira nella sede di Bologna è davvero molto accogliente. Sono tutti super disponibili e nonostante io fossi (e sia tutt’ora) l’unica donna, mi sono sempre trovata benissimo. E pensare che quando sono arrivata ero anche la più giovane...”, osserva.

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L'ingegnere Padovani è riuscita a organizzare una piccola postazione a casa sua, in provincia di Ferrara (foto Terna)

Il lavoro di Sofia consiste nel programmare le attività Terna, tra cui una gran parte richiede il fuori servizio delle linee elettriche, e quindi una serie di passaggi interni per definire tempi e modalità di intervento. “Io e i miei colleghi svolgiamo varie attività, ma fondamentalmente ci occupiamo della programmazione dal punto di vista formale. Prima di pianificare gli interventi dobbiamo infatti interfacciarci con i tecnici per avere informazioni sulla durata della disalimentazione necessaria. Loro individuano un periodo adatto, a seconda dei vari fattori che determinano la buona riuscita delle attività e poi noi prendiamo accordi con l’unità di Dispacciamento, che si occupa della gestione della rete”, illustra Padovani, “una volta trovato l’accordo si procede con la richiesta. Il Dispacciamento la riceve e le dà seguito. Ci sono però anche altre questioni da monitorare, ad esempio che il materiale ordinato arrivi per tempo o che la parte burocratica sia svolta correttamente. Se salta un solo anello della catena, riprogrammare può essere molto complicato”.

E, infatti, gestire le conseguenze dell’emergenza da questo punto di vista ha dato origine a diverse problematiche che si sono tradotte nella riprogrammazione di molte attività: “Abbiamo dovuto ripianificare tutti quegli interventi che non era possibile svolgere in questo periodo, dovendo quindi spostare anche altre attività. Il mese di aprile è stato occupato dalla riscrittura della programmazione annuale, che noi di solito redigiamo tra luglio e ottobre per l’anno successivo. L’emergenza ha chiaramente portato a uno stravolgimento dei piani e abbiamo dovuto ripartire quasi da zero. Non credo in passato sia mai successo".

L’impossibilità di vedersi e confrontarsi di persona ha complicato ulteriormente il lavoro, ma non ha scoraggiato Sofia e i suoi colleghi, che sono riusciti a portare a termine la missione anche a distanza.

“Il rapporto tra noi colleghi mi è mancato molto, sia perché ci troviamo bene che per l’abitudine di lavorare insieme”.

“Il nostro lavoro comporta scambi continui, quasi ogni ora, tra noi e il reparto tecnico. Prima ci spostavamo semplicemente da un ufficio all’altro, ora sono sempre al telefono” osserva l’ingegnere energetico, “in ogni caso, grazie a tutti gli strumenti e procedure che l'azienda ci ha messo a disposizione, non ho avuto problemi ad adattarmi a questa nuova modalità di lavoro. Si tratta solo di cambiare le proprie abitudini... e poter rinunciare allo stress del viaggio verso l’ufficio non è affatto male".

Sofia comunque non è spaventata dal ritorno in sede, anzi è fiduciosa che l’adattamento alle novità sarà piuttosto semplice: “A Bologna i nostri uffici hanno posto al massimo per 2 o 3 persone, niente open space. Riuscivamo a tenere le distanze anche appena prima di iniziare lo smart working, perché gli spazi ampi di cui disponiamo lo consentono. Credo che si verrà a creare un ibrido tra la tecnologia che abbiamo usato in questi mesi casalinghi e le nostre vecchie modalità di lavoro, con la distanza di sicurezza e i DPI necessari”. Le sale di controllo e altre strutture operative sul territorio, del resto, lavorano già così dall'inizio dell'emergenza sanitaria.

A rendere particolarmente felice Sofia della prospettiva del rientro in azienda è soprattutto la possibilità di rivedere i colleghi, di cui in questi mesi ha sentito particolarmente la mancanza. “Il rapporto tra noi colleghi mi è mancato molto, sia perché ci troviamo bene che per l’abitudine di lavorare insieme” racconta Sofia, specificando che comunque sono riusciti a mantenere alcune abitudini, come la pausa insieme.

“Soprattutto durante i primi giorni di smart working, abbiamo fatto delle videochiamate di gruppo tra noi. Alcune volte eravamo in trenta, comunicare era praticamente impossibile senza un moderatore, ma bastava vedersi per qualche minuto e salutarsi. È stato un modo per mantenere almeno in parte la quotidianità dell’ufficio: un caffè virtuale per stare tutti insieme come prima".